COMUNITÀ DI ETICA VIVENTE di
Città della Pieve 27/10/2007.
Giornate della Cultura. Il Nuovo Servitore
del Mondo, il Portatore di Luce.
Teosofia Saggezza Senza Tempo - Intervento
di Stefano Martorano.
PREMESSA
In qualità
di esterno, ma Amico, mi è stato chiesto di
parlarvi della Teosofia o Saggezza Divina, di come
sia rinata alla fine dell’800 e dei suoi sviluppi
moderni. Ne parlerò così come la vede
la mia coscienza di ricercatore e viaggiatore, senza
poggiarmi su altre “autorità”.
Oggi si realizza il primo irradiarsi della Luce da
quest’edificio che, essendo costruito con le
proprie idee e i propri mezzi finanziari, potrà
divenire in futuro non Aula, ma “Tempio della
Cultura”. Grazie quindi a tutti coloro che hanno
ideato e contribuito col loro amore alla realizzazione
di questa bella e protettiva emisfera.
Un Tempio è un Ashram, luogo dove c’è
un Fuoco, un Gruppo di scintille, una Luce che trasforma
la sofferenza terrena in nostalgia di Casa, in nostalgia
del Sé, e che aiuta a trovarlo.
Qui dove si onora la cultura (il culto di UR, nome
babilonese della Luce) il tema che cercherò
si sviluppare sarà: “Da dove nasce la
Luce?” L’esprimerò con le parole
più semplici possibili, perché “la
semplicità dell’anima apre la via per
Shamballa” . Lo farò accennando alla
vita di K.H., portatore di luce che, tramite H.P.B.,
ha donato la Teosofia all’Occidente . S’impara
certo di più dall’esempio e da come vivono
i nostri genitori che non da quello che dicono, quindi
analizziamo la vita del modello ideale di Servitore.
Occorre ricordare che K.H. è ancora oggi responsabile
karmicamente della Teosofia, in quanto sua iniziativa,
ed è quindi il genio protettore dei suoi futuri
sviluppi, anche se molte delle sue responsabilità
sono state assunte sin dall’inizio da D.K. che
è stato il suo braccio destro in questo campo
di Servizio, l’Avvicinamento Spirituale della
Gerarchia all’Umanità.
Va detto a questo proposito che “non esistono
misteri nell’insegnamento esoterico” se
non per quello che riguarda i veri nomi dei Maestri
oggi viventi e che ormai è giunto il momento
che la luce e l’azione della Gerarchia appaiano
in tutta la loro bellezza. Entro pochi decenni questi
istruttori non solo non nasconderanno i loro nomi
ma vivranno tutti in mezzo a noi, e chiunque sappia
riconoscerli e abbia carattere adeguato, potrà
collaborare con loro.
Ho cominciato ad interessarmi di Teosofia a Ginevra
nel 1962 e ho conosciuto nel 1965 Roberto Assagioli
che nella prima metà del secolo è stato
grande divulgatore della Teosofia in Italia, oltre
che guida e mèntore ineguagliabile dei miei
giovani anni. Il candore, l’innocenza, la semplicità,
l’umiltà, la bontà, l’abnegazione
dei Grandi Esseri e dei loro discepoli, loro caratteristiche
precipue, sono state esempio e faro alla mia esistenza.
Da Loro nasce la Luce.
Di certo nasce dal cuore, un cuore colmo di compassione
che non cerca nulla in cambio. Come dice HPB alla
fine del libro la Voce del Silenzio la compassione
è la Legge delle Leggi.
Ma la Luce viene anche dall’alto. Da quell’alto
punto di contatto entro il servitore che lo spinge
al servizio per il bene dell’umanità.
Quindi dal Divino, dal Sé, dai Mahatma, dalla
Gerarchia, etimologicamente ?e??? ???? quel Sacro
Comando, quel Vecchio Saggio che sta entro ognuno
di noi, ma che aggiungerei, è unico per tutti.
È questa l’estremità a cui quel
filo teso, il ponte composto da tutti i Servitori,
guarda per farlo risvegliare e rivivere nella propria
coscienza e nell’umanità. Questa è
la precisa funzione e la ragione dell’esistenza
dei servitori: far da ponte tra la Gerarchia e l’Umanità.
Ma spesso per molti la parola Gerarchia è un’idea
astratta. Oggi cercheremo di renderla più concreta.
Certamente la Luce di cui parliamo non si riferisce
solo alla Conoscenza o all’anima, ma anche alla
luce trascendente dello Spirito, in cui si è
più che fratelli, si è Uno, o la Vita
Una. Come era simboleggiata questa Vita? Gli Egizi
raffiguravano quest’Acqua o Corrente di Vita
con una duplice onda di Ankh (Vita) o Croci ansate
che il Faraone, e cioè Horus il figlio, l’anima,
riceveva sul capo dall’Unico iniziatore per
donarla al popolo. Notate che il faraone veniva indicato
con una bandiera ed un picchetto (hem neter) letteralmente
Servitore di Dio.
Sarà questa un’altra disquisizione informativa
o intellettuale che la nostra mente tanto ama? No,
al contrario essa ha uno scopo pratico. Si prefigge
di rinsaldare nei presenti la volontà-di-amare
e di autosacrificio, di fortificare la coscienza di
gruppo, di provare che la Gerarchia è una realtà,
di delineare meglio il Piano, di eliminare in ognuno
di noi eventuali residui di dubbi ed incertezze sul
Sentiero. Alcuni di noi hanno scelto autonomamente
da tempo di percorrere quel Sentiero a spirale, qui
fisicamente rappresentato da quegli scalini, consapevoli
che, dovendo noi stessi divenire quel Sentiero, saremo
appigli ai quali i nostri compagni si aggrapperanno,
e che esso si trova all’interno di noi tutti.
Si spera che, oggi, in ognuno di noi, nasca una maggiore
determinazione e sicurezza nel proprio ruolo di servitore.
Anche se è utile una conoscenza parziale di
psicologia esoterica, non parleremo in modo accademico
e dotto, ma con semplicità, come è abituale
tra Amici che coltivano un’amicizia di anime,
concetto introdotto per la prima volta qui in Italia
dai membri della Comunità Pitagorica e sul
quale posero l’enfasi, dimostrandolo con l’esempio
e la comunanza dei beni.
Questa comunità umbra ne ricalca le orme e
l’esempio e ne costituisce in più di
un senso un’edizione moderna, quindi Amici,
inauguriamo questo nuovo ambiente rivelando e pronunciando
per prima volta al mondo in pubblico i veri e santi
nomi dei tre maestri teosofici sul primo secondo e
terzo raggio: 1. Ranbir Singh 2. Kirpa Ram 3. Ramalinga.
Questa ricostruzione parziale delle loro vite è
il primo abbozzo di un mio prossimo libro molto documentato
che verterà sulla “Realtà della
Gerarchia” o la vita di alcuni maestri.
INGHILTERRA. OXFORD. 1851
Un giovane indiano di circa 18 anni, Kirpa Ram, che
chiameremo d’ora in poi per rispetto con la
sigla K.H., nato nel 1832 in Kashmir ma proveniente
da famiglia originaria di Eminabad nel Punjab, a Nord
di Lahore, ha incontrato nel 1850 a Wazirabad Lord
Dalhousie, Vicerè dell’India. Ha ricevuto
per meriti culturali il khilat, un abito multicolore
onorifico, e viene ammesso a frequentare, in incognito
per ragioni politiche connesse alla guerra fredda
con la Russia, un corso di laurea a Dublino. È
in assoluto il primo indiano a farlo in un paese di
lingua inglese in virtù del fatto che è
figlio del primo ministro di un importante stato indiano
di frontiera. Il padre è il diplomatico Jawala
Sahai che ha ottenuto l’indipendenza del Kashmir
dagli inglesi in cambio di una grossa somma di denaro.
Di K.H. studente universitario ci rimane il mistico
poema, tipicamente anonimo, “The Dream of Ravan
– A Mistery” pubblicato a puntate nel
“The Dublin University Magazine” anni
1853 e 1854 che può essere stato scritto solo
da un indiano che perdipiù abbia avuto esperienze
spirituali di prima mano.
È in atto quello che è stato poi chiamato
il Grande Giuoco, o il confronto politico Inghilterra-Russia
per il controllo dell’Asia e per gli inglesi
è importante che Maharaja e uomini di governo
indiani siano educati ed attratti nell’area
di cultura ed influenza inglese. Un giovane promettente
di grande cultura “indigena”, che probabilmente
seguirà in politica le orme paterne è
quanto di meglio possa essere scelto per una dimostrazione
della “civiltà e della cultura”
occidentali e per praticare una intelligente politica
di alleanze, con un indottrinamento mirato a mostrare
la superiore potenza politica, militare, organizzativa,
culturale e religiosa di una nazione che si considera
il fior fiore dell’occidente.
INGHILTERRA. OXFORD 1855. LAUREA E CONSEGUENTI DECISIONI
DEL MAHATMA K.H.. NASCITA DI UN’IDEA O DI UN
FARO LUMINOSO, LA TEOSOFIA.
In piena età vittoriana, nel
mezzo di una civiltà occidentale completamente
materialista, dopo aver studiato con applicazione
rara diritto, musica, poesia, letteratura europea,
questo giovane è un privilegiato sotto molti
aspetti. È già considerato in patria
l’uomo più colto dell’India, ma
certo egli è molto più di questo. È
l’unico uomo giovane al mondo ad avere usufruito
del meglio della cultura orientale ed occidentale
e pertanto è la persona più adatta a
fare da mediatore tra le due civiltà.
Va detto che fin dalla più tenera età
ha avuto a disposizione i migliori istruttori spirituali
e di meditazione, e, in un ambiente dove s’intessono
intensi rapporti diplomatici, ha imparato già
una decina di lingue, un ottimo inglese ed il persiano
e il Sanscrito classici. Quindi già prima di
partire per l’Europa le sue predisposizioni
naturali per la psicologia, la filosofia, la musica,
la spiritualità e le lingue ne fanno un miracolo
che si ripete, cioè un nuovo Pitagora.
Quest’ultimo costruì un ponte tra le
nuove culture della Magna Grecia: Crotone, Taranto
e Reggio e quelle dell’Egitto, del Medio Oriente
e dell’India. Si mosse da Occidente ad Oriente,
arrivando fino in India. Questo giovane al contrario
si muove dall’Oriente in cui è nato all’Occidente
e avrà lo stesso destino. Creare un ponte fra
le due culture tramite l’intermediazione di
una donna d’origine Russa H.P.B. con cui egli
si incontrerà agli inizi del 1856 in Kashmir
dopo essere tornato da poco dal suo “esilio”
occidentale. Ricordo che Olcott per riferirsi a K.H.
in modo velato usava il nome in codice Kashmir e che
H.P.B. stessa dice che egli non è Tibetano
ma è un Punjabi la cui famiglia si è
stabilita da anni nel Kashmir.
Perché esilio? Cosa muove i suoi pensieri che
già da giovanissimo ha imparato a dominare?
Cosa ricava dai suoi lunghi samadhi meditativi? Gustato
a pieno il profumo del fiore della cultura europea
ne percepisce subito l’intrinseca debolezza.
Il materialismo dominante.
Ci si sente importanti perché ricchi, potenti
o colti, si trattano gli orientali con sufficienza,
addirittura non si rivolge loro nemmeno la parola.
Molta mente, poco cuore, poche esperienze religiose
sperimentate. Questo salta subito agli occhi di chi
proviene da una cultura in cui non è posta
in alcun dubbio la supremazia della mente sulla materia
e dello spirito su ambedue. In parole povere in India
il proposito d’ogni individuo precede la struttura
tramite cui egli agisce. Eroe sommo è considerato
chi ha conquistato se stesso, come Shiva, re degli
yoghi e meditatore per antonomasia.
Siamo in Europa 150 anni fa. La schiavitù dei
negri che s’imbarcavano a Bristol è stata
abolita da pochissimi decenni. Non si sa cosa sia
la meditazione. Al suo posto preghiere personali in
tetre cattedrali. La letteratura spirituale e religiosa
orientale completamente sconosciuta. Se qualcosa trapela
è interpretato in senso materiale e letterale.
Le poesie altamente mistiche dell’astronomo,
matematico e poeta persiano Omar Khayam sono prese
come un incoraggiamento ad ubriacarsi e a godere la
vita invece che un invito a condividere il vino dell’Ananda,
della beatitudine dell’unione col Divino. È
osannato quale poeta del carpe diem ed intriso di
pessimismo costui che è il cantore della Gioia!
Qualunque idea contraria viene rigettata e respinta
come ridicola e purtroppo il pregiudizio iniziale
continua a perpetuarsi fino ad oggi. “Una lettura
in chiave mistica di tutte le quartine del Rubayat,
comune nella critica persiana, sembra da scartare”
È l’epoca dell’alterigia della
cultura europea, quella in cui Max Muller sanscritista
che traduce (1849) il Rig-Veda non andrà mai
durante tutta la sua vita in India, patria degli studi
di sanscrito.
Ma il sanscrito è per eccellenza il Devanagari,
la lingua degli dei, con significati matematici precisi
come dice Bharati Krishna Tirtha nel suo Vedic Mathematics,
e poiché ogni lettera come in arabo ha un corrispondente
numerico, “un semplice inno a Krishna può
nascondere pigreco diviso dieci esteso fino alla 32a
cifra decimale!”
Nel Theosophist 10/1883 il Tiruvallam (Nord di Arcot)
Mahatma, (Narayana, BCW I p. 438, Maestro Jupiter
o Rishi Agatsya) dice che il Sanscrito può
capirsi solo tramite il Senzar.
K.H. da persona saggia e equilibrata,
fu dato da Lui suo il simbolo pitagorico “Non
squilibrare la bilancia”, diventato poi il romano
“in medio stat virtus” stima tutto ciò
che è valido nella scienza, tecnologia, musica
e praticità dell’Occidente, ma non svaluta
mai la cultura in cui è nato e non adotta in
alcun caso abitudini e mentalità occidentali,
ma giura in cuor suo che ritenendo questo stato di
cose insopportabili, farà del tutto per elevare
la qualità di vita di questi fratelli dell’Occidente.
La vista dei suburbi dell’East-End e di Whitechapel
a Londra suscitano in lui un’ondata prorompente
di compassione. Ha visto l’inferno in questo
mondo e memore del detto che pronunciava durante la
sua vita come divino Pitagora “Il dottore va
dove c’è il malato”, giura a se
stesso che l’elevazione morale e spirituale
delle masse dell’Occidente sarà nella
sua vita una priorità. Non sa ancora come potrà
realizzare ciò, perché è un’impresa
che avrebbe fatto tremare anche chi avesse avuto i
mezzi e l’opportunità per farlo, ma nonostante
tutto, questa decisione, che è l’impegno
di un vero bodhisattva, è stato presa e sarà
mantenuta.
Ecco il momento del voto di un Bodhisattva, di chi
tornando indietro, salva. È un momento d’estrema
semplicità ed impersonalità. L’identificazione
con il tutto non permette altra scelta. L’amore
universale mostra tutta la sua potenza. È con
simili scelte compiute nel silenzio della propria
anima che viene redento il mondo e nasce un altro
servitore. Sono certo che mi capite, perché
sto parlando di scelte che in misura minore molti
di noi hanno già fatto. Questa scelta implica
sempre un conflitto. Privilegiare il personale o il
bene del gruppo innanzi tutto? Vivere ed operare per
l’uno o per l’altro?
Anche in H.P.B. tutte le sue simpatie sin da piccola
andavano alla gente di classe inferiore e mostrava
una pronunciata indifferenza per la nobiltà
a cui apparteneva per nascita ed aveva una forte antipatia
per le convenzioni.
Roberto Assagioli mi disse che da quando aveva dieci
anni sentì l’impulso di eliminare le
sofferenze, specialmente quelle psicologiche, che
avvelenano la vita degli uomini.
I discepoli quindi lavorano e sono attivi in aree
ben determinate di servizio, altrimenti non sarebbero
tali. Infatti “L’iniziato sa perché
opera”. Gli altri, coloro che hanno optato per
il personale sono molto attivi ma certo non come il
filantropo Carnegie. Sono interessati alla sopravvivenza,
a perpetuare un potere effimero e transitorio basato
sullo sfruttamento degli altri per ottenere i propri
fini. L’attività è identica, ma
il fine che spinge ad agire è totalmente diverso
e quella più alta presuppone innocuità
di pensiero, parola ed azione. Soprattutto coerenza.
Quindi confrontandoci con una scelta, meglio scegliere
la “via stretta” del vangelo, quella che
costa di più in termini personali o meglio
come diceva il Divino nei detti simbolici “Evita
le strade maestre affollate e cammina per stretti
sentieri” , intendendo con ciò di evitare
anche l’exoterismo.
Tornando alle scelte di vita, esse sono compiute per
il bene del tutto e quindi potrebbero chiamarsi scelte
monadiche, per il monos, l’uno. È tale
scelta che permetterà a K.H. di divenire il
prossimo bodhisattva e sostituire un giorno la funzione
attuale del Maitreya.
K.H è quindi il vero fondatore della Teosofia.
Sarà poi aiutato dal suo amico per la pelle
M. che dice “Non è esatto pensare che
l’esperimento (e io aggiungo della Teosofia)
condotto in passato dal Mio Amico sia fallito…
H.P.B. fu grata ai deridenti suonatori di tamburo.”
Anche il Cristo scelse di salvare non solo il regno
umano ma tutti i regni della natura, e fece una scelta
simile imitando in ciò Sanat Kumara, il Grande
Sacrificio, che avendo monade di 1° Raggio scelse
di scendere nel più profondo della materia
incarnandosi sul pianeta Terra.
Il gioiello Cintamani, la gemma che esaudisce tutti
i desideri, diviene la pietra di fondazione, il centro
della base nell’ambito del sistema solare. Ecco
il più grande di tutti i sacrifici, che può
essere attuato solo da un ribelle divino che rinuncia
coscientemente alla vita nelle sfere superiori. Certo
gli ultimi che si attardano saranno i primi, ed un
essere dalla nobiltà senza pari non ha paura
di scendere nella materia per redimerla. Il letame
ad esempio in tutta l’Asia è usato per
fare il fuoco, quindi la materia non va disprezzata,
come pure il plesso solare e il muladhara o centro
del coccige o perineo come fanno molti esoteristi
della prima ora.
Muladhara viene da Mula radice e Adhara Supporto.
Esso è la radice di tutte le nadi ed il supporto
di tutti i chakra, come un filo su cui essi sono infilati
a mò di ghirlanda. È necessario chiarire
che una nadi non è un contenitore come una
vena ma è un canale nel senso di una corrente
marina. Esso ha stretta relazione con le ghiandole
surrenali.
Possiamo capire l’importanza del centro alla
base, dal fatto che la parte caudale del tubo neurale
dell’embrione chiamato nodo primitivo o di Hensen,
che si forma durante la terza settimana, è
il centro della crescita dell’embrione stesso.
Esso mantiene la pluripotenzialità delle staminali
e quindi la capacità di specializzarsi in qualsiasi
tipo di cellula, anche quando tutte le altre l’hanno
persa.
Ad un livello più alto, divino, questa discesa
verso il Muladhara trova oggi l’analogia in
Shamballa, che raggiunge direttamente l’umanità
o nel processo dell’Esteriorizzazione della
Gerarchia. Il centro coronale ed il centro del cuore
cercano proprio adesso il settimo piano o fisico,
cioè il più materiale. Fortunato chi
riesce oggi a collaborare in questo processo, il più
alto dei processi spirituali in atto sul pianeta,
perché i Grandi Esseri appoggiano, ricompensano
e decuplicano le forze di ogni Sé che abbia
scelto il bene maggiore. I servitori sono le colonne
del modo di procedere olografico del Divino.
20 FEBBRAIO 1856. JAMMU, INDIA. INIZIA IL COMPITO
TERRENO DI K.H.
Il Maharaja del Kashmir Gulab Singh
ed il suo Diwan o primo ministro Jawala Sahai, rinunciando
alle loro rispettive funzioni designano i rispettivi
figli Ranbir Singh che chiameremo d’ora in poi
per rispetto (M.) nato nell’Agosto del 1830
e Kirpa Ram (K.H.) nato nel 1832, alla guida dello
stato rispettivamente come Re e Diwan. Per i due giovani
la responsabilità è grande, tanto quanto
la loro Amicizia. Al Gaddi o installazione di M. è
presente H.P.B. che inizia qui il suo discepolato
non solo a distanza ma “de visu” col Maestro.
“Andai in India nel 1856 solo perché
desideravo vedere il Maestro… incontrai Kulwein
a Lahore… Se dovessi descrivere la mia visita
in India di quell’anno dovrei scrivere un libro
intero, ma come posso dire adesso la verità!…
Andai dal Kashmir a Leh in Ladak.”
Il Kasmir in pochi anni diventa una potenza diplomatica
e militare senza confronti; gli inglesi al momento
della rivolta dei sepoys (soldati indigeni dell’esercito
anglo-indiano) e della rivoluzione popolare del marzo
1857 del Nord dell’India sono costretti a chiedere
l’aiuto del suo potente esercito per non essere
trucidati in massa. I suoi confini territoriali a
Nord si estendono fino a comprendere l’intera
l’area del Kailash, nell’odierno Tibet.
È l’unico stato dell’India che
goda di un’effettiva indipendenza. A nessun
inglese è concesso di rimanervi nei mesi invernali.
K. H. nel 1865 è eletto governatore del Kashmir,
compito che svolge per un anno e mezzo. Ha nelle sue
mani l’intera amministrazione degli affari di
Stato. L’opera congiunta dei due Mahatma fa
trionfare giustizia, libertà e cultura.
Templi, scuole, codici legislativi, università,
canali, strade asfaltate, tolleranza religiosa, eliminazione
totale della criminalità, rifiorire dei commerci,
istituzioni culturali. Il Kashmir, a differenza di
tutta l’India, è un Paradiso in cui gli
inglesi trascorrono volentieri le ferie estive.
11 SETT. 1876. IL PIANO DEL MAHATMA K.H. PRENDE FORMA
NEL MONDO.
Dopo 20 anni di servizio nello stato
viene annunciata la morte di K.H. a 44 anni. Ma è
una morte apparente data dalla catalessi del samadhi
e in seguito il Mahatma ritorna più attivo
che mai a preparare il terreno alla venuta di H.P.B
in India il 15 Febbraio del 1879.
Dice M. di Lui “Aver rivelato il nome di uno
di Noi mentre era nel mondo Ci costrinse ad annunciarne
la morte per proteggere la Sua libertà d’azione.
Più volte dovemmo cambiare il nome per difenderCi
dalla curiosità. Per salvaguardare una buona
impresa fummo obbligati a nasconderCi in tutta fretta.”
Il 17/11/1875 è fondata a
New York da H.P.B. ed Henry Olcott la SOCIETÀ
TEOSOFICA.
Si prefigge di formare un nucleo di Fratellanza Universale
senza distinzione di razza, credo, sesso, casta o
colore. Scopi sussidiari sono quelli di incoraggiare
lo studio delle religioni, filosofie e scienze e investigare
le leggi inesplicate della natura ed i poteri latenti
nell’uomo. La qualità degli insegnamenti
dati è alta ma il perno è una disposizione
amorevole.
Abdu’l Bahá nato a Teheran
nel 1844 e figlio maggiore di Bahá’u’lláh
diffonde intanto in Palestina ad Akka ed Haifa la
fede Bahá’í. Con le sue parole
“Essere bahá’í significa
semplicemente amare tutto il mondo; amare l’umanità
e cercare di servirla; lavorare per la pace universale
e per la fratellanza universale”.
Nel 1870 nell’ambito sciita
a Kerman lo Shaykh Mohammad Karim Khan che fa parte
della famiglia imperiale regnante, lascia un’opera
imponente comprendente 278 titoli che comprendono
tutto il campo delle scienze filosofiche, ivi comprese
l’alchimia, la medicina, l’ottica e la
musica. Muore dopo aver stabilito definitivamente
la scuola Shaykhî che potremmo definire la Teosofia
della Persia.
1872. Nel Sud dell’India a
Vadalur nel Kérala è fondata dal grande
poeta Ramalinga il Maha Chòhan (grande capo
del Dharma), la Satya Jnana Sabai “L’aula
della vera Saggezza” che fa della carità
verso tutti gli esseri umani (Jivakarunyam) e dell’unità
delle anime di tutti gli esseri la base del suo vero
sentiero (Suddha Sanmarga). Nel santuario, all’interno
del Tempio, non vi sono idoli, ma uno specchio ed
una lampada ad olio con sette veli che la circondano.
Vengono rimossi una volta l’anno per adorare
la Luce. Ramalinga non ama la vita di città.
Ama passare il tempo in meditazione in foreste ed
aree rurali. Come primo atto costruisce, con l’aiuto
di amici ricchi, una casa di carità per poveri.
È sua convinzione che debba essere eliminata
la povertà prima di nutrire la gente con cibo
spirituale.
“Questo santo, che fa dell’amore e della
compassione il tema della sua predicazione, ha un
messaggio così semplice da farsi intendere
senza difficoltà anche dagli analfabeti. Egli
chiede alle persone che vanno da lui di rinunciare
a mangiare la carne.
E questa rinuncia fanno per sempre tutti coloro che
lui guarda intensamente negli occhi. Ha poteri taumaturgici.
Nessuno riesce a fotografarlo nonostante ci si provi
per otto volte. Ha poteri profetici. Nel 1873 dice
ai suoi seguaci: “Non siete degni d’essere
membri del Sanga. I suoi reali membri vivono lontano,
a Nord. Voi non seguite i principi dei miei insegnamenti.
Sembra che siate determinati a non essere convinti
da me. Tra non molto verranno in questa terra delle
persone dalla Russia e dall’America e vi predicheranno
la stessa dottrina dell’amore universale e della
fratellanza che vi ho predicato per tutto questo tempo.
Allora conoscerete ed apprezzerete le grandi verità
che invano ho cercato di porgervi.”
Nel Theosophist Luglio 1882 HPB conferma: “Questa
profezia dimostra che Ramalingam Yogi era nel Consiglio
di quelli che ci ordinarono di fondare la Società
Teosofica. Nel marzo 1873 ci fu ordinato di andare
a Parigi e in giugno di andare negli USA dove arrivammo
il 6 Luglio. Questo fu il momento esatto in cui Ramalingam
prefigurò gli eventi che sarebbero poi accaduti”.
Ciò è confermato anche dal suo principale
discepolo, il teosofo Tholovur Mudaliar.
Il Maestro K.H. si riferisce a lui nel 1883 per l’elezione
del Presidente della Loggia Teosofica di Londra: “La
continua e non del tutto vana lotta contro la vivisezione
e la tenace difesa del vegetarianismo della Dott.ssa
A. Kingsford bastano da sole a farle meritare la considerazione
dei nostri Chohan, da qui la preferenza per lei del
nostro Mahachohan.”
Oggi Ramalinga o Vallalar è considerato il
più grande santo dell’India del Sud e
qualunque contadino Tamil analfabeta forse non conosce
Aurobindo ma conosce senz’altro questo Maha
Siddha che è considerato un grande servitore
e grande prosecutore dopo Tirumulàr della linea
dei Siddha o Cittars, i “Compiuti”.
Un Siddha tamil è uno yogi che crede in Dio,
ma non nel Dio di questa o quella religione. È
un libero pensatore e rivoluzionario che rifiuta di
essere trascinato a rimorchio da qualunque religione,
scrittura, rituale, convenzione, regola o di essere
limitato da culti o divinità locali. I Siddha
sfidarono spesso molti credi accettati o pratiche
della società e del pensiero indiani e denunciano
idoli e adorazione ritualistica. Come Ramalinga, in
Thiru arupta poesia 5556, criticano le elites che
vivono vite sofisticate e crudeli, dimentichi dei
poveri. Rigettano il valore delle scritture, ed il
loro linguaggio crepuscolare (sandhya-bhasa) è
non convenzionale come le loro vite e può essere
interpretato sia alla luce del giorno che al buio
della notte. Idaikaddàr si riferisce alla luce
del fuoco serpentino (muladhara joti) nel dire:
Perché incespichi Tu folle
Quando hai la vera lampada
Dentro te stesso?
Il tuo stato è simile
A chi va ad annegare in mare,
Malgrado tenga
Una lampada in mano.
Oggi, negli stessi luoghi dove loro
operarono, possiamo incontrare chi pone in atto i
loro principi, degli Amici, dei veri servitori. Siamo
pronti Noi occidentali a ritornare come bambini, per
poter contattare finalmente anche noi la Gerarchia
così come avviene da sempre in India ad alcune
persone semplici?
A questo fine potrebbe essere utile
rileggere dalla Chiave della Teosofia di H.P.B. i
capitoli “Che cosa è il Karma”
e quello sul “Dovere”.
[5] Helena P. Blavatsky, Collected
Writings Vol. VI, pag. 277. Theo. Publ. Hou. Wheaton
1975.
[6] Enciclopedia Europea Garzanti
VIII, pag. 267 Milano 1979.
[7] Bharati Krisna Tirtha Vedic Mathematics
pag. 363 Motilal Banarsidass, Delhi, 1975. Per cenni
sulla vita di questo grande santo e scopritore di
una diversa matematica vedi:
Paramahansa Yogananda Autobiografia di uno Yogi, pag.
224, Astrolabio, Roma.
[8] Mary Neff, Personal memoirs of
H. P. B. pag. 24 e 32 Theos. Publ. House Wheaton 1971.
[9] Giamblico, Vita Pitagorica, pag.
251, Rizzoli , Milano, 1991.
[10] Agni Yoga, Agni Yoga Society,
New York, 1954.
[11] A. Bailey, Guarigione esoterica,
pag 45 e 181, Ed. Nuova Era, Vitinia, 1974.
[12] H.P.B. usa il nome del padre
del suo Guru come schermo per M., protagonista del
romanzo di 700 pagine From the Caves and Jungles of
Hindostan. Theos. Publ. House Wheaton, 1993.
[13] H. Blavatsky, Letters of H.P.B.
to Sinnett, pag.151 London 1925 e Mary Neff pag. 59.
[14] Supermundane I, sutra 13, Agni
Yoga Society, New York, 1994.
[15] John Esslemont, Bahá’u’lláh
e la Nuova Era Introduzione alla fede Bahá’í,
Roma, 1983.
[16] T. Dayanandan Francis, The mission
and Message of Ramalinga Swamy, pag. 9, Motilal Banarsidass,
New Delhi, 1990.