Il processo meditativo
è l’unico che ci permetta
di accertare l’esistenza dell’anima.
Per ottenere tale risultato, però,
occorre fondere le tecniche adottate
in Oriente ed in Occidente. Infatti,
i metodi possono divergere, ma la spinta
che accomuna alla ricerca della verità
è identica.
Grazie all’incontro tra le due
civiltà, che ai nostri giorni
si va intensificando, verrà elaborato
un sistema che si fonda su antiche e
dimostrate verità, che permettono
di accostarsi al mistero centrale dell’essere
umano.
A tal fine, si deve sapere che la mente
è uno strumento che possiamo
usare in due direzioni: una orientandola
all’esterno (ed è quello
che si fa normalmente, nelle attività
quotidiane) ed una verso il mondo interiore;
il che permette di cogliere delle realtà
soggettive, di ricevere percezioni intuitive
e di percepire idee astratte.
I mistici, i veggenti, gli scrutatori
del profondo di tutte le epoche e nei
due emisferi hanno sempre sostenuto
che tale mondo esiste; ora se, nonostante
la differenza di culture, la distanza
storica e geografica, si afferma di
aver vissuto un’identica esperienza,
non vi è una ragione plausibile
per dubitarne.
Siamo dunque alle soglie di una Nuova
Era, in cui grandi cambiamenti sono
ormai prossimi a verificarsi.
I mistici, da tempo immemorabile, testimoniano
di aver vissuto esperienze che l’uomo
comune ignora del tutto; essi dicono
di aver compreso il significato dell’universo
e di aver colto la suprema unità
del tutto. Chi ha tali visioni resta
rapito in estasi dinanzi alla bellezza
percepita anche solo per un istante;
in genere, costoro sono caratterizzati
da una spiccata emotività.
Se però la stessa esperienza
viene vissuta da un tipo umano più
mentale, ne consegue un nuovo orientamento
intellettuale, capace di trasformare
il mistico visionario (che vive in modo
passivo tali eventi) in un conoscitore
pratico, in grado di reiterare a volontà
quei momenti sublimi.
Esiste, infatti, un procedimento tecnico
che permette a coloro che perseverano
nell’esercizio dello stesso non
solo di vedere la realtà divina,
ma di sentirsi parte, di essere, di
identificarsi con quella realtà.
Tale metodo è quello della meditazione
che i Maestri insegnano da millenni;
grazie ad essa, l’individuo entra
in possesso della sua eredità
ed acquista coscienza di essere realmente
un figlio di Dio.
Tale stato non è certo un privilegio
unico, come afferma la religione cattolica,
o un appannaggio di alcuni eletti scelti
per imperscrutabili disegni dalla grazia
divina, ma la meta ultima a cui perverrà
il genere umano, giunto ad uno stadio
ben preciso del suo percorso evolutivo.
E’ chiaro che, per comprendere
ciò, occorre che si instauri
una collaborazione tra la scienza e
la religione. Se è vero come
è vero che la verità è
una, dovrà pure aver termine
quell’assurdo antagonismo che
le ha separate per secoli.
Con ciò non si vuol dire che
debbano essere supinamente accettate
indistintamente tutte le testimonianze
di quanti affermano di aver avuto visioni
celesti; infatti, nella gran parte dei
casi, si tratta di allucinazioni, se
non addirittura di falsi clamorosi orditi
da mercanti dell’occulto che vi
speculano senza scrupoli, ingannando
gli ingenui che vi prestano fede.
Tuttavia, non si deve nemmeno negare
tutto a priori, scadendo così
nel materialismo più vieto. Occorre,
invece, assumere una posizione critica,
vagliando caso per caso, sapendo discriminare
con intelligenza situazioni diverse
e, soprattutto, tentare di sperimentare
personalmente tale via che, a detta
dei veri Maestri, permette all’uomo
di unirsi a Dio non nel modo vago e
nebuloso indicato dalle varie chiese
(che, anche per tale motivo, stanno
perdendo il loro mordente presso le
folle), ma attivando un processo concreto,
capace di convincere quanti non s’accontentano
di possedere una fede cieca, che s’addice
ad un gregge incolonnato passivamente
dietro il proprio pastore, ma non può
più soddisfare quanti s’interrogano
sul mistero della vita e del destino
degli esseri umani.
CAPITOLO II°
LO SCOPO DELL’EDUCAZIONE
Etimologicamente, il
termine “educare” (dal latino
ex + ducere) significa “trarre
fuori”; quindi, l’educatore
dovrebbe portare alla luce ciò
che esiste in potenza nell’allievo,
così da permettergli di accedere
ad uno stato di coscienza più
ampio rispetto a quello iniziale.
Oggi, l’opera educativa consiste
nello sfruttare l’apparato istintivo
del bambino per condurlo sulla via dell’intelletto
in età adolescenziale, ma non
si forniscono i mezzi per passare dal
piano dell’intelletto a quello
dell’intuizione, così da
assicurare la continuità di coscienza
nella dimensione soggettiva che si colloca
su un livello superiore rispetto alla
realtà esteriore.
Il mondo interiore, così, è
ignorato dalla stragrande maggioranza
degli esseri umani; pertanto, esso viene
negato dai materialisti, oppure ammesso
come una mera ipotesi che non può
essere verificata, perché non
ci vengono forniti gli strumenti adatti
per accedervi.
L’individuo, quindi, pur essendo
fornito di istinto (che si colloca sotto
il livello della coscienza ed agisce
in modo automatico), di intelletto e
di intuizione, usa normalmente solo
le prime due qualità, servendosi
solo occasionalmente della terza.
Anche chi è dotato di speciali
attitudini e di capacità superiori
viene costretto ad adeguarsi allo standard
previsto dall’educazione di massa;
gli vengono, per così dire, tarpate
le ali.
In Oriente, si può dedicare una
cura particolare all’individuo,
mentre masse sterminate restano praticamente
prive di educazione; solo di recente
si stanno compiendo passi significativi
per un’alfabetizzazione più
estesa, ma si tende ad adeguarsi al
metodo occidentale, che privilegia lo
sviluppo della razionalità, indubbiamente
utile per il disbrigo degli interessi
umani, ma incapace di aprirsi a dimensioni
superiori.
Tuttavia, nel sistema educativo orientale,
si presuppone che, all’interno
di ogni forma umana, dimori un’entità
chiamata sé o anima, che utilizza
l’involucro fisico come uno strumento
di espressione. Questo ente, col tempo,
per la Legge della Rinascita, arriva
a manifestarsi chiaramente, dominando
i suoi veicoli inferiori. Si arriva,
così, a liberarsi dall’impaccio
della forma, dalla tirannia del desiderio
ed anche dal predominio dell’intelletto.
Il trasferimento del centro di coscienza
dal regno umano a quello spirituale
viene accelerato dal processo meditativo,
di cui esistono molte varianti.
Nonostante ciò, se non s’incontrano
veri Maestri, si rischia di arrestarsi
al livello del mistico, che mostra tendenze
visionarie e scarso spirito pratico,
necessario per districarsi nelle faccende
mondane. Solo pochi privilegiati o fortunati
riescono dunque, anche in Oriente, ad
accedere alla più alta illuminazione
spirituale.
In Occidente, al contrario, l’aspetto
soggettivo è praticamente ignorato;
la religione, infatti, oltre ad un’infarinatura
dottrinale infarcita di dogmi irrazionali,
fornisce all’individuo una serie
di pratiche devozionali e ritualistiche
formali ed esteriori, incapaci di produrre
reali e significative trasformazioni
interiori. Fede cieca, vuoto ritualismo
e molta superstizione.
Si privilegia, invece, lo sviluppo elefantiaco
della razionalità e dell’intelletto
a fini immediatamente pratici ed utilitaristici;
il che, da un punto di vista etico,
è anche riprovevole.
Sarebbe auspicabile, se non necessario,
che i due sistemi si confrontassero
e s’integrassero a vicenda, per
trovare un equilibrio, dato dall’assunzione
degli elementi più validi presenti
nei due sistemi educativi.
L’Oriente, infatti, ha un disperato
bisogno di conoscenze pratiche, mentre
l’Occidente dovrebbe accostarsi
alla saggezza asiatica ed alle sue pratiche
meditative. Il che, negli ultimi tempi,
sta accadendo, con reciproco vantaggio
delle parti in causa.
Cominciano a mobilitarsi, infatti, dei
pionieri capaci di far da ponte tra
i due emisferi; si tratta degli antesignani
della Nuova Era, dotati di ampio senso
pratico, ma anche forniti di doti mistiche
e di veggenza, consapevoli dell’esistenza
di una divinità interiore o anima,
che può essere inverata attraverso
la pratica costante della meditazione
scientifica.
Riconoscere la realtà dell’Anima
e sviluppare la facoltà intuitiva
condurrebbe presto milioni di individui
all’illuminazione; cosa questo
significhi per l’evoluzione collettiva
del genere umano è superfluo
sottolineare.
Purtroppo, il dominio che l’uomo
è riuscito ad esercitare sulla
natura non va di pari passo con il controllo
che l’individuo è capace
d’esercitare su se stesso.
Ciò provoca gravi squilibri e
danni che cominciano ad essere avvertiti
anche dai più sprovveduti. Il
che, nonostante i disagi presenti, fa
ben sperare per il futuro, in cui una
correzione di rotta apparirà
inevitabile.
CAPITOLO III°
LA NATURA DELL’ANIMA
Scopo del processo
meditativo, dunque, è quello
di guidare gli esseri umani verso la
luce che brilla al loro interno, fino
a vedere la Luce da cui la piccola fiamma
trae la sua origine.
Premesso che in ogni forma umana esiste
un’anima, che usa gli aspetti
inferiori dell’individuo come
veicoli di espressione, lo scopo dell’intero
processo evolutivo consiste dunque nel
consolidare il dominio dell’anima
sul suo strumento.
Gli aspetti inferiori dell’uomo
costituiscono la sua personalità,
composta da stati mentali, emotivi,
dall’energia vitale e dall’organismo
fisico; il tutto cela l’anima
che è avvolta da tali involucri.
Ora, i Maestri insegnano che l’anima
individuale non è altro che un
frammento della Superanima, una piccola
scintilla dell’unica Fiamma che
resta imprigionata nel corpo al momento
dell’incarnazione.
L’anima umana o sé individuale
è un’entità che
pensa, sente ed aspira. L’intelletto
è la qualità dell’anima
che permette all’uomo di orientarsi
nell’ambiente che gli è
proprio; di qui la sua importanza indubbiamente
rilevante; tuttavia, se non lo si esercita
con la meditazione, non è in
grado di orientarsi verso l’anima.
Il rapporto che può instaurarsi
tra l’anima e la Superanima equivale
a quello che si stabilisce tra la parte
ed il Tutto da cui deriva, permettendo
di sperimentare un senso di unità
con tutti gli esseri e con la Realtà
suprema, come testimoniato dai mistici
di ogni tempo e Paese.
L’anima si esprime attraverso
due forme di energia: il fluido vitale,
che durante l’esistenza terrena
è centrato nel cuore, e la ragione
pura o energia intellettuale che si
ancora nel cervello. La coscienza spirituale
può essere raggiunta mediante
un uso corretto della mente, secondo
tecniche ben precise, conosciute e sperimentate
da millenni.
Inoltre, dietro il corpo oggettivo,
esiste una forma soggettiva costituita
di materia eterica, cioè più
sottile, non ancora individuata dalla
scienza ufficiale, detta corpo eterico
che distribuisce il principio vitale
(prana) nel fisico.
Vi è poi un altro involucro composto
dall’insieme degli stati emotivi
dell’individuo, detto corpo astrale,
che può essere controllato dalla
mente.
Il corpo fisico, l’unico di cui
per ora si abbia un’approfondita
conoscenza, appare agli occhi dei Maestri
come un automa attivato dall’energia
vitale ed obbediente agli impulsi che
provengono dal desiderio.
Ad un livello superiore si colloca il
corpo mentale che viene spinto da una
divina inquietudine, dovuta alla delusione
che prima o poi genera l’esperienza
dei beni terreni, a stabilire un cosciente
contatto con l’anima.
E’ così che s’inizia
ad interrogarsi sulla propria natura
e sullo scopo dell’esistenza;
la personalità ora si volge all’interno,
verso il Sé.
Si ricerca, pertanto, la cosciente unione
con l’anima, non solo dal lato
emotivo, come avviene di norma per il
mistico, ma con un accostamento intellettuale,
in cui la testa ed il cuore procedono
all’unisono verso un’identica
meta.
In tal modo, gradualmente è possibile
percepire nuovi stati di coscienza ed
un mondo fenomenico prima del tutto
ignorato.
L’individuo, a questo punto, non
è più solo mosso dall’energia
vitale, dominato dalle emozioni e guidato
dalla mente razionale, ma sa di potersi
identificare col proprio Sé che
pensa tramite la mente, sente tramite
le emozioni ed agisce coscientemente,
non trascinato da impulsi incontrollabili.
Ecco che si verifica finalmente l’unione
tra il Sé ed i suoi veicoli di
espressione. Il che permette a chi medita
correttamente non solo di credere, di
sperare, di aspirare ad una realtà
superiore, ma di sperimentarla e di
conoscerla direttamente.
Questa è la differenza sostanziale
tra una vaga fede, che non è
in grado di sorreggere nei momenti difficili
della vita, ed una conoscenza effettiva
della realtà spirituale, capace
di operare dei cambiamenti sostanziali
e duraturi nella vita di un essere umano.
Infatti, ha inizio un’autodisciplina
ed una purificazione del proprio essere,
che si manifestano in uno stato di aspirazione
continua e di servizio nei confronti
del prossimo.
Come vedremo in seguito, la forma di
meditazione più seria praticata
in Oriente è di tipo mentale
e differisce pertanto dalle sbiadite
copie che spesso vengono scambiate per
la via maestra da chi non ha esperienza
in proposito.
CAPITOLO IV°
OBIETTIVI DELLA
MEDITAZIONE
La meditazione differisce
dalla preghiera. In quest’ultima,
infatti, prevale la richiesta di un
qualcosa, a prescindere dai contenuti,
siano essi vantaggi personali o aspirazioni
dell’anima. La sorgente di tale
desiderio si colloca nel cuore dell’individuo.
Quando si medita, invece, la mente si
orienta verso l’anima e quanto
si realizza si trasforma in conoscenza.
Il mistico desidera ardentemente il
ripetersi dello stato estatico, ma è
incapace di ottenerlo a volontà;
nella meditazione, invece, l’illuminato
è in grado di evocare il regno
dell’anima ogni volta che sposta
la sua coscienza nella sfera interiore.
Il primo metodo si addice ad una natura
emotiva che attende con fiducia i doni
che può elargire il suo Dio;
il secondo implica una natura mentale
e si basa sulla consapevolezza dell’immanenza
divina nell’uomo stesso.
La mente umana, quindi, può orientarsi
verso la Realtà ed è in
grado di condurre l’uomo in un
altro regno di natura, in un altro stato
di coscienza e di Essere, in un’altra
dimensione, che a buon diritto viene
detta superfisica.
L’arte della meditazione, pertanto,
è una scienza antichissima che
ci permette di avere un’esperienza
diretta di Dio, Causa eterna ed Origine
del tutto. Unendoci alla nostra anima
immortale, infatti, ci uniamo a Dio,
perché la coscienza dell’anima
coincide con la consapevolezza del tutto.
In tal modo, l’unità ha
sostituito il dualismo, cioè
la grande illusione condivisa dalla
stragrande maggioranza del genere umano.
La pratica costante della meditazione
costituisce, quindi, la Via dell’Unione;
infatti, grazie ad essa, avviene l’unificazione
cosciente tra il sé personale
ed il Sé divino, poiché
in tale stato di coscienza l’anima
spirituale e la natura formale sono
unite dal principio mentale, che viene
considerato un “ponte” lanciato
verso il divino.
Il Sé con cui si entra in contatto
è il Dio trionfante, creatore
e salvatore dell’uomo, ciò
che l’apostolo Paolo definisce
come “il Cristo in noi, speranza
di gloria”.
Quando avviene l’incontro col
divino si è perfettamente coscienti
e non si può più dubitare
dei fatti; la nostra fede, pertanto,
poggerà su solide basi concrete,
non più su ipotesi evanescenti;
da quel momento, ci riconosceremo figli
di Dio e divini noi stessi.
Come vivere quest’esperienza diretta,
senza ricorrere ad intermediari? Esiste
un metodo, un procedimento scientifico
seguito da coloro che, grazie ad esso,
si sono come risvegliati da uno stato
di sonno.
Per raggiungere la gloria del sé,
bisogna saper abbandonare una forma
dopo l’altra, imparando a non
identificarci più con gli involucri
che imprigionano la nostra anima. Bisogna
riuscire a vedersi come un punto di
luce divina momentaneamente offuscato
da cumuli di scorie. Solo allora, quando
l’intelligenza spirituale (buddhi
manas) si riflette nella materia mentale
(manas inferiore), si giunge alla consapevolezza
del Sé.
Si tratta di un processo lento, ma sicuro
che deve essere accompagnato da un costante
autocontrollo e dalla pratica del servizio.
Nell’individuo si compie una vera
e propria trasmutazione, per cui la
sostanza mentale sarà in grado
di riflettere sia il Conoscitore, cioè
il Sé, che il conoscibile; in
tal modo essa diviene onnisciente, docile
strumento del Sé ed agisce da
elemento unificatore. Questa è
la via per conoscere i misteri della
natura ed i segreti della vita spirituale:
i cosiddetti Piccoli e Grandi Misteri,
in cui venivano istruiti gli Iniziati
dell’antichità.
Comunque, una tale realizzazione non
deve considerarsi come il raggiungimento
di una meta, il conseguimento di un
risultato che non preesistesse già;
la realtà è che si perviene
alla coscienza di ciò che esiste
da sempre e per sempre; è la
mente, infatti, che si è momentaneamente
sintonizzata su una diversa lunghezza
d’onda.
La nostra anima, quindi, è in
grado di stabilire un rapporto costante
con i suoi strumenti, fino a costituire
un’unità inscindibile con
essi. La mente illuminata può
trasmettere la coscienza egoica, propria
cioè del vero Io, al cervello
fisico, purificando la natura emotiva
che rifletterà solo l’amore
dell’anima e la mente che rispecchierà
i propositi divini.
Il triplice aspetto dell’essere
umano (fisico, emotivo e mentale), fino
ad ora dissociati, riescono così
a sintetizzarsi, a coordinarsi e ad
orientarsi verso l’alto.
Naturale conseguenza della meditazione
è lo sviluppo dei poteri dell’anima.
Ora, ogni veicolo, che permette all’anima
di esprimersi, ha dei poteri latenti,
ma l’anima, che ne è la
sorgente, li possiede nella forma più
pura.
Ad esempio, l’occhio umano permette
la vista fisica, mentre la chiaroveggenza
si riferisce al mondo psichico, dimensione
illusoria propria del sentimento e dell’emozione.
La chiaroveggenza, dunque, induce facilmente
in errore, mentre la vista dell’anima
è una percezione di carattere
spirituale e pertanto infallibile.
Queste facoltà si sviluppano
in modo normale e naturale e si manifestano
a livello fisico, quando il Dio interiore
assume il controllo dei Suoi corpi.
L’illuminato, però, non
mostra interesse ai poteri acquisiti
con la pratica della meditazione; egli
si concentra sul Sé ed evita
i rischi in cui incorre chi fa sfoggio
ed usa per fini personali le qualità
che si manifestano in lui.
Pertanto, l’odierno interesse
suscitato dalle questioni psichiche
o parapsichiche in futuro dovrà
essere sostituito da un’attenzione
prestata ad aspetti che rivestono un’importanza
maggiore, se non addirittura suprema.
CAPITOLO V°- VI°
GLI STADI DELLA
MEDITAZIONE
Orientare la mente
verso l’anima, dunque, serve per
entrare in comunicazione con una dimensione
superiore dell’Essere.
E’ chiaro però che tale
processo deve essere preceduto da un’ardente
aspirazione, che permette al sé
di bruciare le scorie che impediscono
quest’unione.
Comunque sia, è ovvio che colui
che si dimostra in grado di controllare
i propri pensieri applicherà
in maniera corretta la pratica meditativa.
Infatti, se la preghiera è accessibile
a tutti, la meditazione lo è
solo per l’uomo polarizzato mentalmente.
Ciò vuol dire che il meditante
realizza non solo tutto quanto i santi
hanno conseguito, ma anche la capacità
di pervenire alla conoscenza tramite
l’intelletto.
Costui, infatti, usa un sesto senso,
cioè la mente, per ottenere quella
che può essere definita una “lettura
spirituale” della realtà
circostante, cioè la facoltà
di saper distinguere dietro ogni forma
esteriore l’idea che le ha dato
origine; è la capacità
d’intuire dietro la superficie
la divinità nascosta nelle cose.
Un altro requisito richiesto a chi si
accinge alla meditazione è l’obbedienza
al Maestro. E chi è il vero Maestro,
se non quello che abita nel cuore, cioè
l’Anima o Cristo interiore che
dir si voglia?
Questa presenza è dapprima avvertita
come la “piccola voce quieta”
della coscienza, poi come Voce del Silenzio
che proviene dal Verbo incarnato, cioè
da noi stessi, ed infine come intuizione
risvegliata.
Detto ciò, il processo meditativo
si divide in cinque parti: la concentrazione
o capacità della mente di focalizzarsi
su qualcosa; la meditazione o capacità
di fissare la mente sul concetto prescelto;
la contemplazione, cioè la facoltà
di mantenere la mente in uno stato di
quiete; l’illuminazione o capacità
di trasmettere alla coscienza cerebrale
la conoscenza acquisita; l’ispirazione
che si manifesta nella vita di servizio.
Ora, la pratica assidua di questi cinque
stadi comporta l’unione con l’anima
e la conoscenza diretta della divinità.
L’esoterista definisce la mente
come un aspetto dell’uomo capace
di orientarsi non solo verso il mondo
esteriore, ma anche verso quello delle
energie sottili e dell’essere
spirituale.
Infatti, la mente può divenire
consapevole di idee che provengono da
un regno spirituale e che sono comunicate
ai veicoli inferiori dall’anima.
La sua funzione, dunque, è quella
di fungere da intermediaria tra l’anima
ed il cervello. Ciò avviene solo
quando la mente resta insensibile ad
ogni richiamo esteriore.
Si noti, però, che tale effetto
non si ottiene con metodi tendenti a
rendere la mente passiva o vuota; al
contrario, occorre la massima concentrazione,
cioè mantenere la mente focalizzata
sull’oggetto dell’attenzione,
eliminando tutto quel che risulta estraneo
ad esso.
Bisogna saper distinguere inoltre il
Pensatore, il vero Sé o Anima,
dalla mente o apparato che il Pensatore
cerca di usare, che a sua volta si diversifica
dal processo del pensiero, cioè
dall’azione del Pensatore che
imprime nella mente ciò che Egli
pensa, e soprattutto dal cervello che
viene impressionato dalla mente e che
quindi assume le funzioni di un terminale.
I materialisti, invece, individuano
in quest’organo la sorgente stessa
del pensiero, ignorando l’esistenza
di realtà superiori al piano
puramente fisico.
Il metodo più facile per concentrarsi
consiste nell’educare la mente
a fissarsi su un solo punto, che può
essere un’immagine od un concetto.
Altrimenti, ci si può allenare
a porre attenzione alle azioni quotidiane,
anche le più banali, cercando
di essere sempre presenti a noi stessi
e non facendoci influenzare dagli eventi
esteriori. In tal modo, si educa la
mente a servirci, anziché a dominarci
a suo piacimento.
Col tempo, si acquisisce la capacità
di concentrarsi all’istante, prima
di iniziare la pratica meditativa. Si
può scegliere una parola o una
frase come soggetto della meditazione,
ma bisogna far in modo che la mente
non si distolga da esse. Ne deriva una
chiarezza di pensiero mai raggiunta
in precedenza.
Viceversa, se la mente resta inattiva,
sia per inibizione che per attività
ripetitiva, non può essere trascesa.
Quindi, la pratica del vuoto mentale,
consigliata in alcune scuole, non è
solo errata, ma risulta anche pericolosa,
perché può sfociare nella
trance, stato di cui approfittano influenze
diverse per insinuarsi in noi. La mente,
dunque, resti attiva, ma concentrata
in un’unica direzione.
Altri brevi consigli pratici forniti
dai Maestri sono quelli di concentrarsi
su una forma particolare, oppure su
una sua qualità, ovvero sullo
scopo di una forma, od anche sulla vita
che la anima.
Chi inizia a meditare dovrebbe essere
in grado di ravvisare il simbolo nascosto
nelle diverse forme, cioè intuire
che esse sono espressione di un’idea
che a sua volta esprime un proposito
ben definito.
La meditazione s’impone all’uomo
ad un certo punto della sua evoluzione,
quando s’interroga sullo scopo
dell’esistenza; essa è
un impulso che lo sospinge verso una
comprensione ed una conoscenza più
vaste. La mente, infatti, esaurita la
sua funzione di vagliare le informazioni
trasmesse dai cinque sensi e non più
appagata dalle nozioni apprese da contatti
esteriori, superate cioè le fasi
dell’istinto e dell’intelletto,
inizia a sviluppare l’intuizione.
La mente si orienta verso nuove fonti
d’informazione, attinge ad esse
avidamente, fino a divenire conscia
di realtà impensate. La parola
“psicologia”, cioè
discorso sull’anima, riscoprirà
il suo significato originale, quando
la coscienza umana si aprirà
alla consapevolezza di queste regioni
inesplorate.
Per giungere a tanto, bisogna riuscire
ad elevare il pensiero focalizzato oltre
gli involucri più esteriori con
cui normalmente ci s’identifica,
fino a che la mente ceda a tanto sforzo
e si ritrovi su un picco vertiginoso
da cui si scorgono nuovi orizzonti.
L’obiettivo di questo speculare
non può essere più costituito
dalle sensazioni, dai sentimenti o dai
pensieri stessi. Si deve trascendere
la stessa esperienza mistica, tramite
la conoscenza della via e la comprensione
del procedimento, fino ad ottenere a
volontà la conoscenza del divino
e l’identificazione col Dio interiore.
Gli esseri umani oggi hanno raggiunto
un livello evolutivo che permette loro
di aggiungere alla via mistica, finora
considerata un punto d’arrivo,
quella dell’intelletto cosciente.
A quanto detto finora va aggiunto che
tra lo stadio della concentrazione prolungata,
detta anche meditazione, e quello della
contemplazione, vi è un periodo
di transizione definito “meditazione
senza oggetto”, periodo di attesa
fatto d’intensa attenzione verso
il regno dell’anima.
Il pensatore s’identifica con
l’io spirituale, per cui ad un’intensa
attività si sostituisce uno stato
d’attesa, in cui non sussiste
la sensazione di separazione e d’individualità.
Ciò porta a raggiungere lo stadio
della contemplazione e a penetrare nella
coscienza dell’anima; a questo
punto, il pensiero cessa di svolgere
la sua funzione ed è l’Anima
che contempla. L’uomo diviene
ciò che è realmente: un’anima,
un frammento di divinità, conscio
della propria unità con Dio.
Il Sé superiore si attiva, mentre
quello personale è superato;
l’Io spirituale entra nel suo
regno ed è in grado di registrare
in piena consapevolezza i fenomeni che
da lì emanano. Non si è
più in trepida attesa di una
rivelazione, ma pienamente coscienti;
mente e cervello, orientati verso l’anima,
registrano e ricordano quanto l’anima
percepisce.
La meditazione, dunque, permette al
cervello di ricevere attraverso la mente
le impressioni provenienti dal Dio interiore
o Sé superiore; nella contemplazione,
invece, si capta direttamente ciò
che l’anima stessa percepisce.
Si entra così nel regno della
visione, in cui ci s’identifica
con l’anima; si scopre di essere
il Percipiente, capace di cogliere sia
il mondo esteriore che quello interiore.
All’inizio, sarà come una
folgorazione, un breve istante che però
ci darà la certezza incrollabile
dell’esistenza di una realtà
superiore.
CAPITOLO VII°
INTUIZIONE ED
ILLUMINAZIONE
Nel mondo occidentale,
anche testimonianze attendibili relative
a tali stati di coscienza finiscono
per essere scambiate per allucinazioni
di mistici esaltati o per manifestazioni
psicopatiche.
Ed invece la luce dell’illuminazione
e dell’ispirazione risulta del
tutto compatibile con la pratica delle
incombenze quotidiane.
L’illuminazione è il risultato
del vero stato contemplativo e dell’avvenuto
contatto con l’anima; chi è
pervenuto a tanto possiede un intelletto
illuminato e la percezione intuitiva,
mentre la sua esistenza è continuamente
ispirata.
Il concetto di una Luce che penetra
in noi ed il simbolismo di un’irradiazione
accecante che viene percepita al momento
del contatto divino sono ricorrenti
nelle tradizioni di molti popoli e Paesi;
il che fa presupporre che si tratti
di autentiche manifestazioni fenomeniche.
Tuttavia, il mistico comune è
incapace di definire chiaramente questo
stato di coscienza; invece, in Oriente,
si sa indicare la tecnica grazie a cui
può essere conseguito.
L’identificazione con l’anima
comporta una comprensione intuitiva
della Verità. Infatti, se la
mente riflette la Luce e la conoscenza
dell’anima, anche il cervello
viene coinvolto in tale processo. Ovviamente,
ciò si verifica quando anima,
mente e cervello sono perfettamente
allineati; prima questo non era possibile,
perché sussistevano degli elementi
capaci di oscurare questa luce; ora,
però, si è pervenuti ad
uno stato di coscienza non più
soggetto ai mutamenti del principio
pensante.
La via per giungere a tale liberazione
comporta la purificazione della natura
corporea inferiore e ciò si può
ottenere in moti modi.
Esiste, ad esempio, la via della Bellezza
grazie a cui il mistico trascende la
forma esteriore tramite la contemplazione
della bellezza e la ricerca della realtà
che l’ha generata; egli è
in grado di percepire l’essenza,
la sacralità e l’armonia
in ogni forma.
Si può percorrere anche la via
dell’intelletto, praticando un’intensa
concentrazione mentale su un problema
specifico o su un qualsiasi fenomeno,
per risalire alla causa generante.
Si può percorrere, infine, la
via dell’anima per cui non ci
si limita a lacerare il velo della materia,
ma ci s’identifica sia con il
velo che con la Realtà retrostante.
Tutti i sentieri percorribili ripropongono,
però, il concetto di Totalità
e di Unità con l’intero
Universo.
A questo punto, il Conoscitore non parla
più della “sua” anima
che l’ispira, ma dell’anima
universale che si manifesta in lui come
in ogni cosa, restando inalterata quando
l’illusione dell’individualità
svanisce. Questo indica che il sé
individuale è confluito nel Sé
universale.
L’uomo veramente illuminato, dunque,
riesce a coordinare testa e cuore, allineando
cervello, mente ed anima.
Gli effetti che si producono sulla mente
umana sono molteplici: il primo è
quello di una conoscenza così
vasta e sintetica da essere designata
col termine di Mente Universale, ma
possono avvenire comunicazioni telepatiche
e trasmissioni di messaggi ispirati;
inoltre, la natura emozionale viene
inondata da una gioia profonda, culminante
nell’esperienza dell’estasi;
infine, il corpo fisico avverte l’irrefrenabile
impulso ad un’intensa attività,
facendo registrare spesso la comparsa
di una luce nella testa che può
essere vista anche ad occhi chiusi e
nell’oscurità.
Questi risultati, a torto considerati
straordinari e “paranormali”,
sono manifestazioni della stessa energia
fondamentale, capace di trasferirsi
da un veicolo all’altro.
Una delle reazioni mentali più
interessanti è quella definita
col termine di intuizione. Essa consente
un apprendimento diretto della verità,
a prescindere dal concorso della facoltà
raziocinante. Nella coscienza emergono
alcune verità o bellezze mai
percepite prima. Si noti che questi
elementi non provengono dal subcosciente
o dalle stratificazioni della memoria
razziale ed individuale, bensì
sono trasmessi alla mente dal superconscio
o anima onnisciente che dir si voglia.
Le improvvise soluzioni di problemi
astrusi e molte tra le più strabilianti
invenzioni rientrano a pieno titolo
in questa categoria di fenomeni.
Si badi bene che questa capacità
di accedere direttamente alla Verità
non è appannaggio esclusivo di
alcuni esseri privilegiati, ma il destino
ultimo di tutti gli esseri umani.
Riassumendo, l’intero processo
avviene nel modo seguente: la mente
superiore (buddhi manas) riceve direttamente
illuminazione dall’anima sotto
forma di idee o di intuizioni che le
trasmettono una conoscenza non distorta
della Realtà; la mente inferiore
o razionale (kama manas) poi trasferisce
il contenuto di tali rivelazioni al
cervello.
Solo l’illuminato od il saggio
riescono a compiere questo percorso
automaticamente e con esattezza; altri,
come il mistico, lo vivono saltuariamente,
non sanno attivarlo a volontà
e restano passivi nei suoi confronti.
Un’altra facoltà mentale
attivata dall’illuminazione è
la telepatia; l’anima umana, infatti,
può entrare in comunicazione
non solo con la Mente Universale, ma
con altre menti di cui il Divino Proposito
intende servirsi per attuare il Piano
evolutivo.
La comunicazione telepatica non deve
assolutamente essere confusa con la
medianità, i cui messaggi sono
mediocri e per nulla innovativi; essi
infatti attingono dal subconscio od
esprimono livelli di conoscenza degni
di rispetto, ma già acquisiti.
Lo stato di illuminazione provoca effetti
anche sulla natura emotiva, infondendo
calma ed eliminando ogni ansietà;
in alcuni produce l’estasi mistica,
uno stato di esaltazione dovuto alle
realtà percepite, in cui però
sussiste un senso di dualità.
L’estatico, infatti, è
mosso dal desiderio, dal sentimento
ed è incapace di liberarsi dall’illusione
del dualismo. La vera illuminazione,
invece, elimina tutte le reazioni di
questo tipo.
A livello della coscienza fisica, infine,
si avverte la presenza di una luce nella
testa e l’impulso ad un’attività
inconsueta, grazie ad un continuo afflusso
di forza vitale.
Per quanto concerne il fenomeno della
luce nella testa, va detto che dapprima
si percepisce un chiarore diffuso, talvolta
all’esterno del capo, poi una
luminosità entro il cervello
che si manifesta durante la meditazione;
infine, la luce appare simile ad un
sole radiante all’interno del
quale si nota un punto blu elettrico
da cui si diparte un raggio di luce
d’oro diretto verso l’alto.
Questa luce nella testa è forse
all’origine della raffigurazione
iconografica dell’aureola disegnata
attorno alla testa degli illuminati.
CAPITOLO VIII°
L’UNIVERSALITÀ
DELLA MEDITAZIONE
Nello stato contemplativo,
viene meno ogni senso di separazione
e si attua una vera e propria unione
con Dio, cioè la comprensione
di un fatto naturale da sempre esistito.
L’anima dunque è cosciente
di essere una sola cosa con Dio; questo
fa capire quale abisso separi tale stato
di coscienza, che a buon diritto può
definirsi l’unica vera comunione,
da quel pallido rito praticato nella
chiesa cristiana che vorrebbe rappresentarne
un valido surrogato.
Dal raggiungimento di questa unione
deriva l’illuminazione della mente
e del cervello, sempre che questi siano
mantenuti in uno stato positivo e di
attesa. Se poi l’illuminazione
avviene di frequente ed è ottenuta
a volontà, genera la vita ispirata.
E’ interessante notare l’uniformità
degli insegnamenti all’interno
delle singole religioni e dei vari popoli
in merito alla tecnica che consente
l’ingresso nel regno dell’anima.
Lo studio delle religioni comparate
e gli scambi d’informazioni tra
le genti, pratiche oggi sempre più
diffuse, permettono allo studioso interessato
all’argomento di abbattere ridicole
barriere ed assurdi pregiudizi alimentati
ad arte da chi ha tutto l’interesse
ad affermare la supremazia della propria
verità relativa e quindi ad esercitare
in modo dispotico il suo potere sulle
menti altrui.
Tanto per fare degli esempi, le scuole
tibetane evidenziano tre stadi sul Sentiero
dell’Illuminazione: all’inizio,
il devoto è soggetto ad una serie
d’ingiunzioni, di proibizioni
e di regole volte a disciplinare la
sua natura inferiore; successivamente,
però, le restrizioni vengono
mitigate fino a non essere più
prescritte quando si perviene alla Luce,
cioè allo Stato Divino o Illuminato,
praticando il cosiddetto Adi Yoga.
Comunque, nel buddismo tibetano, si
ritrova lo stesso procedimento: attività
mentale, contemplazione, unione ed illuminazione.
Nel buddismo cinese si dà rilievo,
invece, all’uso della mente nella
lotta contro l’ignoranza, sottolineando
l’intralcio dell’intelletto,
soggetto inevitabilmente ad una visione
dualistica delle cose, poiché
opera sempre una distinzione tra soggetto
percipiente ed oggetto percepito, quando
tale separazione non ha ragione alcuna
di esistere, essendo un prodotto dell’illusione.
Anche qui, dunque, l’illuminazione
è vista come uno stato mentale
per così dire assoluto, in cui
cioè alcuna discriminazione può
sussistere.
Inoltre, si dà rilievo al fatto
che l’Illuminazione non può
essere un esclusivo privilegio del Buddha;
infatti, ognuno può conseguirla,
uscendo dall’illusione del dualismo.
Ed ancora -fatto estremamente importante,
non ancora compreso da chi è
uso coltivare luoghi comuni- il Nirvana
non va inteso come uno stato di non-esistenza,
bensì come una dimensione in
cui per la coscienza sempre sveglia
tutti gli opposti s’annullano.
Nel buddismo cinese, quindi, la mente
dapprima viene utilizzata al massimo
delle sue capacità, per poi essere
trascesa; usando la volontà,
si mantiene la mente salda nella luce,
fino ad ottenere la Visione, il contatto
con la Luce, l’Illuminazione.
Nello yoga indù, lo yogi contempla
ogni cosa come dimorante in lui, fino
a percepire per consapevolezza diretta
che tutto è Atma. Lo yogi sa
di essere Dio, perché l’Essere
Supremo è immanente e trascendente.
Pertanto, anche qui viene attuato lo
stesso processo: uso della mente, ritiro
finale della coscienza mentale e realizzazione
dell’Unità.
Ed ancora nel sufismo, che è
l’esoterismo islamico, si compiono
gli stessi passi; cioè, l’annientamento
della separatività, la concentrazione
del pensiero che implica la distruzione
di tutto ciò che non è
Dio, fino ad ottenere la purezza con
l’Amore.
Infine, nel cristianesimo (ovviamente
non quello propinato alle masse, ma
quello originario, tramandato da alcuni
gruppi esoterici, di tipo mistico, gnostico
ed esicastico), si usa l’intelletto
fin dove esso può giungere, poi
si sospende ogni indagine razionale,
prediligendo quindi una teologia negativa
o apofatica, per favorire l’emergere
di un nuovo stato di coscienza.
Il Maestro Eckhart, ad esempio, afferma
che: ”Quando la mente di un uomo
ha perso il contatto con tutto, allora
entra in contatto con Dio. Appare improvvisa
quella luce nella mente e si penetra
fino alla Sorgente da cui l’anima
umana è fluita; a questo punto,
l’anima si fonde nelle pura Unità.”
Come si vede, lo scopo è sempre
il medesimo: l’unificazione con
la divinità. Anche il metodo
è identico: trascendere i sensi,
concentrare la mente, essere consapevoli
che la mente non può condurre
alla meta, passare allo stato di contemplazione,
divenire consapevoli dell’identità
con Dio.
Anche nella nostra religione, quindi,
ovviamente praticata seriamente e non
accontentandosi di sbrigare alcuni riti
esteriori e pratiche devozionali che
non comportano reali sacrifici ed impegno,
si indica la via per superare il senso
di separatività, per ottenere
l’unione con l’Universo,
per realizzare l’Identità
col Tutto, per avere consapevole coscienza
del Sé ed assimilazione in piena
coscienza di veglia con la Natura esteriore
ed interiore.
Quindi, il sé, il non-sé
ed il loro rapporto vengono percepiti
come un fatto unico, privo di differenziazioni.
Per usare una terminologia a noi più
familiare, Dio Padre, Dio Figlio e Dio
Spirito Santo sono compresi operanti
come un’unica Identità:
il Tre nell’Uno e l’Uno
nel Tre. Questa è la vera spiegazione
del “mistero” trinitario.
Anche il mistico cristiano può
trascendere non solo il sentimento,
ma anche il pensiero unificandosi con
il Tutto. La sua individualità
rimane sempre nella coscienza, ma riesce
ad identificarsi con l’insieme
totale, fino a far scomparire ogni senso
di separazione.
Dante, nel trentatreesimo canto del
Paradiso, afferma di aver vissuto la
stessa esperienza, che quindi non è
appannaggio di pochi privilegiati, scelti
per motivi imperscrutabili dalla “grazia”
divina.
E’ ora che tali affermazioni puerili
vengano attentamente vagliate anche
dai fedeli della religione cattolica
ed abbandonate, al fine d’incamminarsi
su un Sentiero che permette di sperimentare
anche in Occidente l’esistenza
dell’anima, stati di coscienza
superiori ed una dimensione metafisica
che, altrimenti, sono destinati a restare
concetti vaghi e fumosi, nel retaggio
di una fede cieca che non può
essere comprovata da alcuna esperienza
concreta.
CAPITOLO IX°
LA PRATICA DELLA
MEDITAZIONE
Chiunque intenda lavorare
con perseveranza può accingersi
alla meditazione, sebbene ogni inizio
sia difficile, perché si devono
superare abitudini e cambiare ritmi
instaurati da molto tempo.
Ci si deve render conto che s’inizia
a lavorare per unire saldamente la natura
mentale, emozionale e fisica, fino a
fondere la personalità umana,
formata dalla suddetta triade, con il
fattore anima.
Sia chiaro che l’anima individuale
non diventa Brahman, ma è Brahman,
non appena riconosce ciò che
realmente è ed è sempre
stata.
Per mezzo della mente concentrata, si
conosce questa Realtà immanente,
per cui il Tre nell’Uno e l’Uno
nel Tre diventano fatti dimostrati,
uscendo da quell’aura di mistero
in cui li ha confinati la religione
cattolica.
La prima virtù di chi medita
è la perseveranza; per questo,
è consigliabile iniziare la meditazione
quotidiana ad un’ora fissa e praticarla
in uno stesso luogo, senza arrendersi
se fin dall’inizio non si riscontrano
risultati tangibili ed eclatanti.
In secondo luogo, è bene fare
uso dell’immaginazione, assumendo
l’atteggiamento dello Spettatore
che si osserva vivere da una posizione
elevata, controllando i propri pensieri,
emozioni ed azioni; in tal modo, si
pone ordine nella propria vita, eliminando
le cose non essenziali.
Dopo aver appurato che l’esistenza
dell’anima può essere dimostrata
e concretamente vissuta, ci si potrebbe
chiedere se la pratica meditativa sia
compatibile con i ritmi esagitati della
vita moderna; a tal proposito, i Maestri
dicono che sia gli uomini che le donne
di oggi possono trovare un centro di
pace, di forza e di serenità
in se stessi ogni volta che lo desiderino,
in qualunque luogo si trovino.
Ritirando la coscienza entro la testa,
la mente indisciplinata passa sotto
il controllo dell’anima, senza
per questo rinunciare alle facoltà
mentali comuni; anzi, queste vengono
acuite.
Anche questo può essere agevolmente
sperimentato da chiunque: infatti, oltre
a registrare le impressioni provenienti
dall’esterno, la mente sarà
in grado di collegarsi anche con la
dimensione spirituale.
Pacificata la mente, si nota di riflesso
un cambiamento a livello emotivo; si
diviene più sereni e pacati,
senza frapporre più ostacoli
al flusso di conoscenze spirituali verso
il cervello.
La scienza moderna ha ormai definitivamente
appurato che la regione superiore del
cervello (definita “corteccia
cerebrale”) è sede dell’intuizione
e delle facoltà mentali superiori,
mentre quella inferiore (chiamata “talamo”)
lo è delle facoltà mentali
inferiori e delle reazioni emotive più
elevate.
Ciò conferma quanto viene da
sempre insegnato in Oriente, cioè
che l’anima con le sue capacità
di conoscenza superiore e di percezione
intuitiva dimora in un centro di forza
che ha sede nei pressi della ghiandola
pineale, mentre la personalità
si addensa in un altro centro individuato
nella regione del corpo pituitario.
Quando le reazioni siano principalmente
istintuali e la mente sostanzialmente
inerte, il centro di energia interessato
va collocato nei pressi del plesso solare.
E’ per questa serie di motivi
che i Maestri consigliano di focalizzare
l’attenzione nella testa, così
da ridurre la tendenza centrifuga dei
cinque sensi, riuscendo a stabilire
un contatto con l’anima che, dal
suo regno, potrà inviare messaggi
ed impressioni alla personalità
terrena.
Nella meditazione, la mente o sesto
senso riesce a dominare gli altri cinque
ad essa sottoposti e la coscienza dell’aspirante
è centrata nella testa, cioè
volta all’interno e verso l’alto.
In una simile condizione, la percezione
si accentra in un punto collocato fra
il centro della fronte e la ghiandola
pineale.
Ciò permette alla triplice personalità
(fisica, emotiva e mentale) di entrare
in comunicazione con l’anima;
per questo, si finisce di trascendere
le limitazioni della natura corporea.
Infatti, il cervello può essere
impressionato dall’anima, qualora
la sua coscienza sia mantenuta in uno
stato di attesa positiva e le sue reazioni
agli stimoli del mondo fenomenico siano
inibite.
E’ allora che la luce irrompe
nella testa e che si raggiunge lo stato
di illuminazione. Tutto ciò può
essere conseguito da chiunque con una
vita disciplinata ed attraverso esercizi
dapprima di concentrazione, poi di meditazione
e di contemplazione.
Il principiante inizierà dalla
concentrazione, mentre l’intellettuale
può passare direttamente alla
meditazione.
Si consiglia di dedicarsi alla pratica
meditativa ogni giorno, per un anno
intero, inizialmente anche solo per
quindici minuti; chi afferma di non
averne il tempo denota mancanza di interesse.
È bene meditare la mattina presto,
perché allora la mente è
calma e riesce a sintonizzarsi facilmente
con gli stati superiori di coscienza.
Si cerchi un luogo tranquillo, da dedicare
solo a tal fine. Si scelga una posizione
che faccia avvertire il meno possibile
il corpo fisico, non importa se seduti
o a gambe incrociate; l’essenziale
è mantenere la spina dorsale
diritta e star rilassati con il mento
alquanto inclinato. Le mani restino
abbandonate in grembo ed i piedi s’incrocino,
per chiudere il circuito delle energie
positive e negative: è questo
che produce il fenomeno della luce nella
testa. Il respiro si mantenga tranquillo
e regolare; non si compiano sforzi in
tal senso, per evitare seri pericoli,
come il risveglio precoce ed innaturale
della chiarudienza o della chiaroveggenza,
con gravi ripercussioni sulla sfera
psichica, qualora tali fenomeni non
possano essere controllati.
Se la meditazione verrà condotta
secondo le regole, non vi è da
temere alcunché di negativo.
Tutto il giorno assumerà una
valenza diversa, muteranno le reazioni
agli stimoli quotidiani e tutto l’organismo
non potrà che trarne beneficio.
L’importante è mantenersi
puri nei pensieri, nelle parole e nelle
azioni, senza spinte egoistiche, equilibrati.
Si consiglia anche di usare l’immaginazione,
rappresentandoci il triplice uomo inferiore
allineato, cioè in diretta comunicazione
con l’anima. A tal fine, si possono
visualizzare i tre aspetti della natura
formale (fisico, emotivo e mentale)
collegati da un corpo di luce o creare
immagini similari a piacere. L’importante
è coltivare l’idea del
Sé che cerca il contatto col
Non-sé, suo strumento nei mondi
materiali, e nel contempo quella del
Non-sé sollecitato a volgersi
alla sua sorgente di vita.
È chiaro che la mente cercherà
di opporsi alla direzione che tentiamo
d’imprimere ai nostri pensieri,
ma si cercherà di stabilire precisi
confini all’attività mentale,
così da accorgersi subito quando
li varchiamo.
La mente deve restare attiva, per evitare
stati di trance, mantenendola ferma
verso la Luce, escludendo l’intromissione
di pensieri che la facciano deviare
dal proposito iniziale.
CAPITOLO X°
NECESSITÀ
DI PRUDENZA NELLA MEDITAZIONE
Si è visto che
la meditazione consiste in una concentrazione
prolungata, in cui la nostra attenzione
è mantenuta attiva. Si apprende
così a fissare nella mente ciò
che si è captato dal piano animico,
per trasmetterlo al cervello. In tal
modo, l’uomo diviene consapevole,
nella piena coscienza di veglia, delle
cose del Regno Divino.
È chiaro, però, che bisogna
saper distinguere tra i vari campi di
consapevolezza che possono schiudersi
dinanzi a chi medita e riconoscere la
natura di ciò che si vede e sente.
La gran parte dei fenomeni, infatti,
non provengono dall’anima e sono
erroneamente interpretati dai principianti.
Si sa che ogni pensiero prende forma;
per cui, è possibile vedere ciò
che si desidera vedere. Il mondo dell’illusione
pullula di forme-pensiero costruite
da chi è governato dalla natura
psichica.
Occorre, quindi, che la mente sappia
discriminare tra i vari messaggi o visioni
che possono pervenire durante uno stato
meditativo. Inoltre, bisogna disfarsi
di ogni ambizione personale, mirando
solo ad assecondare il Piano Divino.
È per questo che i Maestri consigliano
di eseguire con scrupolo le regole date
per la meditazione, di imporsi una disciplina
nella vita quotidiana e d’impegnarsi
nel servizio al prossimo, evitando di
inseguire i fantasmi del potere, della
gloria, delle lodi, della fama, del
successo.
Se si percorre la via giusta, gli effetti
superiori si manifesteranno spontaneamente;
il Maestro Gesù diceva, infatti:
”Cerca dapprima il Regno di Dio
e tutto il resto ti verrà dato
in aggiunta” (Mt. 6,33).
Bisogna diffidare, quindi, dei cosiddetti
scritti ispirati, dei messaggi ricevuti
con scrittura automatica, delle rivelazioni
dei medium, dei sedicenti profeti, dei
veggenti da strapazzo.
La maggior parte di questi scritti rivela,
infatti, un contenuto stranamente simile,
che riecheggia insegnamenti chiesastici
e devoti; si tratta di rimasticature
di testi sacri o di profezie terrificanti
che fanno leva sull’emotività
del lettore, ma che non l’aiutano
affatto a comprendere il suo destino
immortale.
Spesso, gli autori di tale messaggistica
attingono dal loro subconscio, convinti
in buona fede di svolgere la funzione
di tramite tra mondo umano e divino.
Continuando a procedere su questa china,
però, s’impedisce al vero
aspirante di dominare se stesso con
impegno e volontà; nessun serio
ricercatore vorrà sottomettersi
al controllo di una qualsiasi entità,
incarnata o disincarnata che sia, né
presterà la sua mano alla prima
forza che si presenti, senza comprenderne
l’origine.
Le opere veramente ispirate, invece,
sono prive di riferimenti personali,
trasmettono conoscenze precise, aiutano
l’umanità nel suo processo
evolutivo, non ripetono a pappagallo
cose già dette ed udite.
Il primo mondo che s’incontra
nella ricerca di livelli di coscienza
superiori è quello psichico,
cioè dell’illusione; è
opportuno, quindi, penetrarvi coscientemente,
non lasciandosene invischiare.
Altre volte, gli studenti lamentano
un’eccessiva stimolazione ed un
aumento di energia che non riescono
a controllare; si registrano collassi
nervosi, emicranie persistenti, vibrazioni
in alcuni centri, insonnia. Quando insorgono
disturbi simili, è bene sospendere
la meditazione, interrogarsi se la si
conduce in modo corretto e soprattutto
chiedersi quali siano le nostre reali
intenzioni.
Nei tipi mentali, saranno le cellule
cerebrali ad essere eccessivamente stimolate;
negli emotivi, invece, i disordini si
manifesteranno nella zona del plesso
solare, con ansie, agitazioni, nausee,
commozioni immotivate.
La sfera sessuale viene spesso turbata,
perché si compie l’errore
di convogliare le energie sul centro
più basso, alla base della spina
dorsale.
Alcuni credono che il celibato sia la
via diretta per conseguire l’ascesi;
ora, se è vero che lo studente
deve astenersi da relazioni promiscue
o illegittime, non è detto che
la castità totale vada imposta
a tutti; astinenza, infatti, può
anche significare non indulgere al male.
Del resto, se la meta è dimostrare
l’immanenza di Dio nella forma,
nessun livello di coscienza può
dirsi più divino di un altro;
pertanto, è ridicolo affermare
che un uomo ed una donna, solo perché
coniugati, non possano conseguire l’illuminazione.
Sarebbe come dire che Dio è sconfitto
in una parte del Suo Regno.
A tutti questi errori ed ingenuità
si può rimediare controllando
il pensiero e mirando alla trasmutazione.
Bisogna coltivare un’intensa applicazione
mentale ed un interesse non polarizzato
sulla linea di minor resistenza, cioè
il sesso.
Se ci si sforza di mantenere l’energia
ricevuta entro la testa, privilegiando
attività creative, ricercando
il buono ed il bello, non vi saranno
spiacevoli sorprese.
Meditare su un unico centro equivale
ad iperstimolarlo; ora, poiché
la maggioranza agisce per mezzo delle
energie che s’addensano sotto
il diaframma, cioè di carattere
emotivo e sessuale, tale stimolazione
è pericolosissima, perché
si finisce per ingigantire ciò
che andrebbe invece ridotto.
CONCLUSIONE
Il risultato degli
esercizi di meditazione non può
in alcun modo esaurirsi in una soddisfazione
personale, oppure in un’eterna
pace paradisiaca.
Non è pensabile, infatti, che
i Maestri ci invitino ad inseguire un
utile personale, dimenticando quanti
continuano a brancolare nelle tenebre.
Il bodhisattva, cioè colui la
cui essenza è divenuta conoscenza,
ha compassione per i suoi simili e,
pur essendosi liberato dal ciclo di
nascite e morti, torna nel nostro mondo
per aiutare coloro che sono vittime
dell’ignoranza, causa di ogni
dolore.
È per questo che occorre impegnarsi
in una vita di servizio attivo; il che
non vuol dire che ci si debba sentire
investiti di una missione divina, assumendo
toni profetici ed atteggiamenti da grandi
iniziati.
Più modestamente ognuno, seguendo
la sua natura e sfruttando le proprie
capacità, dovrebbe impegnarsi
ad aiutare il prossimo, ad esempio attuando
programmi politici utili a tutti, educando
i giovani, dedicandosi ad opere creative
ed edificanti. Insomma, si può
operare con saggezza terrena oltre che
con visione spirituale.
È fondamentale, infine, lavorare
uniti, in gruppo e non singolarmente,
non solo perché l’azione
risulterà più incisiva
ed efficace, ma perché questo
è il sistema che si affermerà
nel mondo nuovo ormai alle porte.
Nella Nuova Era, infatti, i mistici
pratici ed i conoscitori costituiranno
il Nuovo Gruppo di Servitori del Mondo;
essi saranno la salvezza dell’umanità,
collocandosi oltre ogni credo e teologia,
operando in ogni campo: scientifico,
politico, religioso, educativo, filosofico.
Costoro non si perderanno in vuote diatribe
terminologiche, ma baderanno a metter
in rilievo ciò che vi è
di essenziale, cercando di servire il
Piano Divino “in grande umilitade”
come diceva Francesco d’Assisi.