Il testo contiene un
prezioso ed ampio commento ai famosi
aforismi di Patanjali, il massimo studioso
di Raja Yoga o Yoga Regale, disciplina
che, trasmessa oralmente per secoli
da Maestro a discepolo, mostra come
l’anima arrivi a governare la
mente dell’uomo.
Questo insegnamento corrisponde a quello
precipuo della Scuola Trans-Himalayana,
da cui provengono molti Maestri di Saggezza
che, spostandosi da Oriente ad Occidente,
arrivarono ad influenzare con le loro
dottrine molte scuole di pensiero e
pratiche meditative, che sembra siano
state riprese anche dagli Esseni e dallo
stesso Fondatore del Cristianesimo.
I sutra o versetti presentano una libera
traduzione dell’originale sanscrito
attuata dal Maestro Tibetano, per renderli
maggiormente accessibili al lettore
occidentale, senza però alterarne
i contenuti. I commenti, invece, sono
curati da Alice Bailey, dopo averli
sottoposti però al controllo
ed all’approvazione del suo ispiratore.
L’argomento è suddiviso
in quattro libri, di cui il primo contiene
un’esposizione generale del Raja
Yoga, degli ostacoli che si frappongono
al suo compimento e dei benefici che
se ne possono trarre. Il secondo libro
esamina in particolare gli ostacoli
ed indica i mezzi per superarli; il
terzo tratta del dominio mentale, mentre
il quarto illustra i risultati che si
possono conseguire con la pratica di
questa disciplina.
In una breve introduzione, l’Autrice,
basandosi sull’autorità
dei Maestri orientali, afferma come,
per la Legge dei Cicli, l’attuale
razza umana sia destinata a raggiungere
una meta importante: il governo della
mente affidato all’anima individuale;
il che costituirà un beneficio
per l’intera collettività.
In ogni epoca e per tutte le razze e
civiltà che si sono succedute
sul nostro pianeta, lo yoga ha costituito
un valido strumento di evoluzione, a
cominciare dalla razza lèmure
che apprese l’Hatha Yoga, utile
per armonizzare il fisico, per arrivare
a quella atlantidèa che conobbe
il Laya Yoga ed il Bhakti Yoga, adatti
a sviluppare i centri psichici nonché
a governare la natura emotiva, fino
all’attuale umanità che
deve apprendere appunto il Raja Yoga,
per accentrare la propria coscienza
nell’anima.
Ora, quando l’anima si rivela
ad un essere incarnato, opera sempre
in lui una grande trasformazione; gli
individui più evoluti, avendo
già sperimentato questo stadio,
s’incaricano di trasmettere le
loro conoscenze ai fratelli che s’incamminano
su questo impervio sentiero.
E’ così che si è
formata la Gerarchia che da tempi immemorabili
governa il pianeta, fornendo impulsi
atti a promuovere l’evoluzione
umana. Se gli individui si dimostreranno
ricettivi al flusso di energia spirituale
che viene immesso dall’Alto, il
nostro pianeta potrebbe far registrare
un balzo qualitativo davvero notevole
che non mancherà di far sentire
i suoi effetti a partire dal 2025.
LIBRO I°
IL PROBLEMA
DELL’UNIONE
1. AUM (OM). Le seguenti
istruzioni riguardano la Scienza dell’Unione.
AUM è la Parola
di Gloria che indica il Verbo fatto
carne, cioè la manifestazione
nella materia del secondo aspetto divino.
Il Raja Yoga, o Scienza dell’Unione,
fornisce regole con cui si può
prendere contatto con l’Anima,
il secondo aspetto, il Cristo interiore
e, quindi, conoscere il sé e
dominare il non-sé, ovvero gli
elementi che costituiscono la propria
personalità.
Quando si attua l’unione tra il
terzo aspetto (corpo) ed il secondo
(anima), si giunge alla terza iniziazione
e si parla di trasfigurazione; in seguito,
si verificherà la sintesi tra
i due aspetti già unificati ed
il primo (spirito).
Per chiarezza, è doveroso distinguere
tra il principio Cristo, cioè
l’aspetto spirituale che ciascuno
dovrà raggiungere, e lo stesso
nome applicato ad una figura sublime
capace di incarnarlo, sia che si tratti
dell’Uomo di Nazareth o di altri.
2. Questa Unione (o Yoga) si consegue
soggiogando la natura psichica e raffrenando
chitta (o la mente).
Chi persegue l’Unione
deve, quindi, dominare il proprio psichismo,
che costituisce il secondo aspetto della
sua personalità, dopo il corpo
fisico, ed impedire alla mente, che
rappresenta il terzo involucro dell’io
umano, di inseguire le incessanti modificazioni
del principio pensante.
3. Ciò compiuto, lo Yogi conosce
se stesso quale è in realtà.
Questo versetto (sutra)
indica che lo Yogi s’identifica
con la Realtà interiore e non
più con le forme che la velano.
4. Finora l’uomo interiore si
era identificato con le sue forme e
con le loro modificazioni attive.
Quelle che vengono
definite “forme” sono gli
involucri che impediscono all’anima
di manifestarsi; esse assumono gli aspetti
dei desideri impulsivi o dei pensieri
della mente. Solo quando si riesce a
dominare questo flusso incontrollato,
il tumulto della natura inferiore si
calma; pertanto, l’ente interiore
può svincolarsi da questa schiavitù
ed imporre la sua vibrazione all’intera
personalità.
L’anima perviene a questo stato
quando assume la posizione dell’osservatore
nei confronti dei suoi veicoli inferiori.
In ciò consiste la vera meditazione,
che non può limitarsi ad una
seduta di durata variabile, ma deve
continuare per l’intera giornata,
così da essere sempre presenti
a se stessi.
5. Gli stati mentali
sono cinque e sono soggetti al dolore
o al piacere; essi sono penosi e non-penosi.
Le coppie di opposti
ostacolano la realizzazione dell’individuo.
Le reazioni definite come dolore e piacere,
derivanti dall’identificazione
con la forma, devono essere trascese
e sostituite da un atteggiamento distaccato.
Le modificazioni dell’organo interno,
la mente, sono cinque e s’identificano
con altrettante attività concernenti
la mente concreta inferiore di natura
razionale (kama manas).
6. Tali modificazioni (attività)
sono: corretta conoscenza, conoscenza
inesatta, immaginazione, passività
(sonno) e memoria.
Tre sono i modi di
apprendere: attraverso i sensi, con
il ragionamento, oppure per mezzo della
coscienza del sé; i primi due
sono poco attendibili e comunque parziali,
mentre il terzo costituisce una forma
di conoscenza certa ed infallibile.
Le altre modificazioni riguardano l’uso
errato dell’immaginazione, la
passività della mente autoindotta
o dovuta allo stato di sonno e la memoria,
che altro non è se non la ritenzione
delle forme pensiero entro l’aura
mentale.
7. Basi della corretta conoscenza sono:
corretta percezione, corretta deduzione
e corretta testimonianza (o accurata
evidenza).
L’elaborazione
mentale dei fatti costituisce uno stadio
preliminare che va sostituito con il
metodo usato dal Raja Yoga, per cui
la mente viene considerata un organo
di percezione, alla stregua dei sensi
fisici, di cui rappresenta la sintesi.
Occorre, quindi, che sia l’anima
ad usare la mente e che l’oggetto
della percezione sia interpretato dall’intuito,
poi vagliato dalla ragione ed infine
trasmesso al cervello.
8. La conoscenza inesatta si basa sulla
percezione della forma, anziché
sullo stato dell’essere.
Il Raja Yoga insegna
come stabilire un contatto con l’essenza
latente in ogni forma. Questa è
la vera realtà, non quella dedotta
dalle forme ed acquisita mediante le
facoltà inferiori.
Solo l’anima, dunque, possiede
una conoscenza corretta, perché
entra in contatto col germe, altrimenti
detto principio buddhico o cristico,
presente in ogni atomo.
9. L’immaginazione si regge su
figure che non hanno esistenza reale.
Le immagini non hanno
esistenza reale, perché sono
elaborate dall’uomo entro la sua
aura mentale; esse sono vitalizzate
dalla volontà e dal desiderio,
ma svaniscono quando non vi si pone
più attenzione. Si tratta, quindi,
di una percezione scorretta, di una
fantasia.
Esse possono essere create non solo
dall’individuo, ma da un’intera
razza o da una nazione e costituiscono
quella che viene definita la grande
illusione.
10. La passività
(sonno) è dovuta alla quiescenza
delle “vritti” (o all’assenza
di percezioni sensorie).
Le “vritti”
sono attività della mente che
mettono in rapporto i sensi con l’oggetto
della percezione. Ora, se si sposta
la coscienza dalla periferia al centro,
si cade in una sorta di trance che non
ha nulla a che fare col samadhi o con
la concentrazione, perché si
entra in uno stato di inconsapevolezza,
mentre lo yogi usa la mente per agire
su qualche piano.
Astrarsi dalla percezione sensoriale
è pericoloso, perché questa
passività autoindotta predispone
ad aprirsi ad influenze sconosciute
ed indesiderate.
Fare il cosiddetto vuoto mentale, pertanto,
non ha nulla a che spartire col vero
yoga. Infatti, il “sonno”
a cui si allude non riguarda il corpo,
ma la mente che non si sostituisce ai
contatti che di norma i sensi instaurano
con l’esterno. Ciò può
generare allucinazioni, illusioni ed
ossessioni.
Il sonno del corpo fisico, invece, non
rappresenta un pericolo ed avviene quando
il cervello non reagisce ai contatti
sensoriali.
Inoltre, il sonno o trance del medium
si produce quando il corpo eterico si
stacca parzialmente dal fisico e dall’emotivo;
stato, questo, da evitare se si temono
intromissioni indebite.
Esiste poi anche il sonno dell’anima,
che si protrae fino al suo risveglio,
cioè al momento in cui la personalità
diviene cosciente del sé interiore.
A questo stato alludeva il Buddha, quando
diceva che nella reggia in cui era cresciuto
tutti dormivano; anche il Cristo si
riferiva allo stesso concetto, quando
parlava dei “morti” inconsapevoli
della realtà delle cose.
Infine, il sonno dello yogi (samadhi)
è prodotto dal consapevole ritirarsi
del vero Io dagli involucri dell’anima
(fisico, emotivo e mentale), per operare
su livelli più alti.
11. Memoria è ritenere ciò
che è stato conosciuto.
La memoria comprende
le immagini mentali del piano fisico;
quelle prodotte da desideri, a partire
dai più grossolani fino agli
estatici paradisi creati dal visionarismo
misticheggiante; quelle derivate da
interessi intellettuali, non frutto
di desiderio.
Tutte queste forme di memoria finiranno
per essere obliate, quando la natura
psichica sarà dominata e si controlleranno
le modificazioni del principio pensante.
Infine, la memoria include anche tutte
le esperienze compiute dall’anima
nelle varie incarnazioni ed accumulate
nella vera coscienza.
12. Il controllo di queste modificazioni
dell’organo interno, la mente,
si ottiene con sforzo instancabile e
distacco.
Lo sforzo instancabile
a cui si allude riguarda la capacità
di estirpare abitudini radicate, mentre
operare con distacco significa che le
forme percepite mediante i sensi perdono
la loro presa sull’individuo.
Ovviamente, lo yogi continua a servirsi
dei sensi, ma non ne è più
schiavo; egli ne fa dei semplici strumenti
a fini di servizio o per il lavoro comune.
13. Lo sforzo instancabile è
il tentativo costante di frenare le
modificazioni della mente.
Controllando i sensi,
lo psichismo inferiore e le modificazioni
incessanti della mente, si riesce ad
esprimere la propria natura spirituale.
14. Quando lo scopo è apprezzato
al suo giusto valore e gli sforzi che
ad esso mirano sono persistenti e incessanti,
la stabilità della mente (la
quiete delle “vritti”) è
conseguita.
Se l’aspirante
riesce a mantenere la tensione verso
l’alto senza interruzione di continuità,
giungerà al fine che si era prefisso,
cioè non solo all’Unione
con l’anima individuale, ma anche
con la super-anima e quindi con quelle
insite in tutti gli esseri.
15. Distacco è libertà
dalla bramosia per tutti gli oggetti
di desiderio, siano essi terreni o tradizionali,
di questo mondo o dell’altro.
Operare col dovuto
distacco significa non aver più
“sete”, dal momento che
l’acqua per l’occultista
è il simbolo della materia, del
desiderio e del livello emotivo in genere.
Ciò implica l’immagine
dell’uomo-pesce che nuota nelle
acque della materia, nel senso che la
personalità umana è immersa
in questo elemento simbolico.
E’ anche vero, però, che
il pesce costituisce pure il simbolo
del principio cristico incarnato, che
si manifesta a livello macrocosmico
come sistema solare e nel microcosmo,
cioè all’interno dell’individuo,
sotto forma di salvatore potenziale
di ogni essere umano.
Pertanto, quando non si ha più
“sete”, non si desidera
alcunché; si diventa padroni
della propria natura inferiore, si è
liberi dall’influenza che oggetti
o persone potevano esercitare su di
noi; non si brama il potere, il denaro,
il successo; anche il desiderio di raggiungere
una meta, fosse pure la realizzazione
individuale, i poteri supernormali o
il premio da ottenere nel cosiddetto
“cielo”, non ci alletta
più. A questo livello ci si libera
dal ciclo di nascita e morte (samskara).
L’aggettivo “tradizionale”
che appare in questo sutra si riferisce
a tutte le idee preconcette relative
al cosiddetto aldilà, anch’esse
derivate da un desiderio di pace, di
riposo e di felicità ultraterrena.
Ora, proprio perché creato soggettivamente,
questo stato di beatitudine appare diverso
per ognuno e nelle varie tradizioni
religiose. Che si tratti del paradiso
o del devachan, ci si riferisce ancora
sempre ad uno stato di coscienza mentale
che va trasceso, dal momento che fa
parte del mondo inferiore delle forme.
Il Raja Yoga, invece, insegna a realizzare
l’esperienza del nirvana in cui
non sussistono più attaccamenti
di sorta per l’adepto ormai liberatosi
dai tre mondi inferiori (fisico, emotivo
e mentale) appartenenti alla sfera della
personalità.
Tuttavia, è possibile che coloro
che abbiano compiuto questo distacco
scelgano di sacrificarsi, restando tra
gli uomini per servirli ed aiutarli
nella loro crescita interiore. Costoro
non sono detti Nirvani, bensì
Signori di Compassione o Bodhisattva
perché, sebbene ormai liberati
dalla ruota della rinascita, accettano
di sottoporsi a condizioni analoghe
-ma ovviamente non identiche- a quelle
di chi è ancora legato al mondo
della forma.
16. Il distacco perfetto ha per risultato
l’esatta conoscenza dell’uomo
spirituale, libero dalle qualità
o “guna”.
Quando il processo
evolutivo raggiunge il culmine, non
solo libera l’anima dalla dimensione
inferiore, ma prevede anche lo svincolarsi
dell’uomo spirituale o vero Io
da tutte le limitazioni, compresa quella
che può costituire l’anima
stessa.
Le guna sono le qualità che l’energia
macrocosmica infonde alla materia al
momento della manifestazione; esse vengono
definite come ritmo o vibrazione armonica
(sattva), attività (rajas) ed
inerzia (tamas).
Sebbene l’essersi servito di una
forma abbia generato esperienza utile
all’evoluzione, l’uomo spirituale
non ne ha più bisogno; pertanto,
libero ormai dalle guna e sciolto dall’obbligo
di assumere una qualsiasi forma, entra
in un nuovo stato di coscienza, definito
appunto nirvana, su cui è del
tutto inutile però, almeno al
nostro attuale livello, condurre speculazioni
di sorta.
17. La coscienza di un oggetto si consegue
concentrandosi sulla sua quadruplice
natura: forma, con l’esame; qualità
(“guna”), per mezzo della
discriminazione; scopo, con l’ispirazione
(beatitudine) e anima, con l’identificazione.
Praticando regolarmente
la meditazione, il cervello diviene
sempre più sottomesso alla mente
e questa s’identifica con lo spirito.
Quattro sono gli stadi meditativi su
un oggetto, per cui si arriva a conoscere
l’anima con i suoi poteri, fino
ad identificarsi con l’unica realtà.
All’inizio, si medita sulla natura
di una forma, con la consapevolezza
che essa esprima il simbolo di una realtà
interiore.
Si arriva poi a cogliere la sua qualità,
così da conoscerne l’energia
interiore, identica a quella insita
in noi.
Si medita inoltre sullo scopo a cui
tende ogni cosa, cercando d’individuare
l’idea che l’ha prodotta
e l’energia che essa esprime.
Ciò comporta un’espansione
di coscienza che dona beatitudine.
Si giunge, infine, a meditare sull’anima,
cioè su Chi utilizza una data
forma per un certo fine. L’anima,
essendo unita a tutte le altre e con
la Superanima, possiede una coscienza
collettiva ed obbedisce ad un Piano
ben definito.
18. Un ulteriore stadio di “Samadhi”
è raggiunto quando, concentrato
il pensiero su un solo punto, l’attività
esterna è calmata. In questo
stato “chitta” percepisce
soltanto impressioni soggettive.
Il “samadhi”
è raggiunto quando si dominano
a tal punto gli organi di percezione
sensoria che questi non trasmettono
più alla mente alcuna reazione
nei confronti dell’oggetto percepito.
Il cervello si calma ed il corpo mentale
cessa di produrre le sue incessanti
modificazioni.
Ciò non significa affatto che
ci si trovi in uno stato di passività;
l’attività esteriore è
stata interiorizzata, ottenendo una
perfetta concentrazione; si tratta di
una meditazione senza oggetto.
19. Il “Samadhi” testé
descritto non oltrepassa i limiti del
mondo fenomenico; non supera gli dei
e coloro che sono in rapporto col mondo
concreto.
Ci si trova ancora
nell’ambito dei tre mondi (fisico,
emotivo e mentale); si sono calmate
le modificazioni della mente, ma si
deve rafforzare il legame con l’anima,
trasferendo la coscienza nell’uomo
reale o spirituale.
20. Altri yogi raggiungono il “Samadhi”
e discernono il puro Spirito per mezzo
della fede accompagnata da energia,
meditazione e giusta percezione.
La realizzazione del “samadhi”
avviene per gradi. Dapprima, si vive
l’esperienza della cosiddetta
“fede”, prendendo coscienza
dell’anima individuale e poi del
puro spirito, per cui la visione del
non-sé scompare.
Segue poi la fase dell’energia,
quando si comincia ad agire, usando
in modo corretto la forza che sospinge
alla meta.
Decadono quindi dalla coscienza dell’ego
tutte le forme che hanno velato la Realtà.
Si riesce a cogliere le percezioni dell’anima
e fissarle nel cervello.
Occorre adesso che la meditazione elabori
le emanazioni dell’anima fissate
nel cervello, per arrivare ad illuminare
il fisico.
Infine, la giusta percezione permette
che si percepisca il Piano stabilito
dalla Mente Universale, così
che si possa collaborare alla sua realizzazione.
21. Questo stato (coscienza spirituale)
è conseguito rapidamente da chi
ha volontà intensa e viva.
Ciò si verifica
solo se il discepolo si fa guidare dalla
volontà, cioè da quell’aspetto
di sé che è collegato
alla Volontà del Logos. Occorre
però un grande impegno, perseveranza
e tenacia.
22. Anche chi si avvale della volontà
se ne serve in maniera diversa, cioè
in modo intenso, moderato o limitato.
Per la vera coscienza spirituale, vi
è anche un’altra via.
L’altra via è
quella della devozione pura, che si
consegue con l’adorazione e la
consacrazione, trascurando la mente
e coltivando il sentimento.
I seguaci del Raja Yoga usano invece
la volontà; se questa è
fortissima, si procede veloci, ma c’è
il rischio di trascurare il sentimento.
Per questo è raccomandato all’umanità
odierna di attenersi ad una via mediana.
Coloro che s’impegnano in maniera
moderata, conosceranno un progresso
più lento, ma la loro tenacia
li farà procedere in modo costante.
Pertanto, alla fine, poiché le
insufficienze o gli errori comportano
la necessità di qualche riparazione,
lepri e tartarughe giungeranno assieme
al traguardo. In questo senso, dunque,
va intesa la frase del Cristo “i
primi saranno gli ultimi e gli ultimi
i primi”.
23. Con l’intensa devozione per
Ishvara, Lo si conosce.
Ishvara è il
Figlio che, a livello macrocosmico,
si manifesta nel sole e, nel microcosmo,
si rivela come il Cristo interiore celato
nel cuore di ognuno.
Ora, praticando la devozione, un amore
puro ed il servizio altruistico, Lo
si può conoscere; a questo punto,
il Cristo permetterà al discepolo
impegnato sul sentiero interiore di
conoscere anche il Padre.
Il mistico, quindi, deve trasformarsi
in occultista, combinando le qualità
del cuore e della testa, ognuna delle
quali, presa in sé, non appare
sufficiente a conseguire la piena realizzazione.
24. Ishvara è l’Anima,
senza limiti, libera da Karma e da desiderio.
Se l’anima viene
liberata dall’influenza delle
forze ed energie inferiori, anche l’uomo
supera il ciclo delle rinascite; ormai,
ha trovato il suo vero sé, altrimenti
detto angelo solare, figlio di Dio,
ego.
L’anima è detta senza limiti,
nel senso che i suoi quattro involucri
inferiori (denso, eterico, emotivo e
mentale) non l’imprigionano più
e divengono strumenti che può
usare o lasciare a volontà; libera
da karma, perché la realizzazione
conseguita l’ha immessa nel mondo
delle cause; la sfera degli effetti
è trascesa, così non si
attivano condizioni capaci di produrre
effetti nocivi; dunque, essa opera sempre
in accordo con la Legge; libera da desiderio,
perché tutto ciò che attiene
alla percezione sensoriale non l’attira
più; la sua coscienza, quindi,
non si proietta più verso il
basso e non si disperde all’esterno,
ma si volge all’alto ed all’interno.
25. In Ishvara, il Gurudeva, il germe
di ogni conoscenza si espande all’infinito.
In senso macrocosmico,
Dio è detto “Gurudeva”,
cioè il Maestro di tutti; Egli
è onnisciente, poiché
s’identifica con la somma di tutti
gli stati di coscienza; è l’anima
di tutte le cose.
Pertanto, quando la coscienza individuale
cessa d’identificarsi con i propri
veicoli, il germe dell’onniscienza
comincia ad espandersi.
26. Ishvara, il Gurudeva, non essendo
soggetto al tempo, è il Maestro
dei Signori primordiali.
Fin dalle origini
sono esistiti coloro che seppero raggiungere
la liberazione della propria anima,
identificandola con la Superanima che
attrae a sé tutte le cose manifestate.
I Signori primordiali sono quindi i
Saggi, i grandi Adepti che hanno stabilito
il contatto col Maestro interiore. Essi,
per aver sperimentato varie espansioni
di coscienza, sono in grado di insegnare
a coloro che sono indietro sul sentiero.
E’ così che si apprende
e s’insegna ad un tempo, passando
dallo stato di aspirante a discepolo,
da adepto a Maestro, da Mahatma a Cristo,
dal Signore del Mondo agli Spiriti planetari,
fino al Logos solare, in una catena
ininterrotta di solidarietà,
compassione ed Amore.
27. La Parola di Ishvara è AUM
(Om). Questo è il Pranava.
Pranava in sanscrito
vuol dire Parola. Ora, la Parola o nota
distintiva della natura s’identifica
col suono FA, ma lo yogi non è
interessato ad essa, perché opera
all’interno, non all’esterno,
non intendendo moltiplicare l’aspetto
tangibile della creazione, ma raggiungere
quello invisibile. Pertanto, il suono
FA è la Parola o suono usato
da Brama, il Demiurgo.
La Parola Sacra, invece, è l’AUM,
il suono della Vita cosciente infusa
in tutte le forme, il suono che manifesta
l’anima incarnata, il Maestro
o Cristo interiore. Essa è la
Parola del regno umano, in cui s’incontrano
i tre aspetti del divino: spirito, anima
e corpo.
Pronunciando la Parola, si diviene coscienti
della propria divinità essenziale,
dello scopo che ha avuto l’assumere
una forma, del rapporto tra questa ed
il Sé divino.
28. Facendo risuonare la Parola e riflettendo
sul suo significato, si trova la Via.
Se la Parola viene correttamente intonata
dall’anima, influirà con
la sua vibrazione sui vari corpi che
la rivestono. Quindi, il procedimento
è mentale ed utilizza le potenti
facoltà dell’immaginazione,
della visualizzazione e della perseveranza
nella meditazione.
Tutto procederà, dunque, dall’ego
che dirigerà questa vibrazione
al cervello che costituisce il terminale
di una sequenza che ha il suo inizio
nella dimensione interiore.
29. Così si realizza il Sé
(l’Anima) e si rimuovono gli ostacoli.
Ciò avviene
quando l’aspirante sottopone la
sua natura inferiore ad un nuovo reggente.
30. Gli ostacoli alla conoscenza dell’anima
sono: infermità fisiche, inerzia
mentale, dubbio, negligenza, pigrizia,
attaccamento, falsa percezione, incapacità
di concentrarsi e di mantenere l’atteggiamento
meditativo conseguito.
Per ovviare alle infermità
fisiche, bisogna purificare il corpo
in modo da ricostituirlo; in tal modo,
si affina anche l’eterico e si
risvegliano i suoi centri; quindi, i
corpi inferiori si allineano con l’anima.
A questo punto, l’aspirante al
Raja Yoga potrà dirigere l’energia
interna verso l’alto, incanalandola
lungo la spina dorsale.
Per inerzia mentale s’intende
l’incapacità di pensare
chiaramente alla realizzazione; se non
si formula un chiaro pensiero in proposito,
l’impulso che si vuol dare all’azione
risulterà insufficiente. Ecco
perché le persone mentali sono
più adatte dei devoti a praticare
questa sacra scienza.
Occorre poi liberarsi da ogni autorità
esterna, da ogni tradizione e dal condizionamento
esercitato dai dogmi, siano essi teologici,
religiosi o scientifici. Infatti, il
dubbio impedisce qualsiasi progresso.
Il termine “negligenza”
indica l’incostanza mentale, la
tendenza naturale della mente a produrre
forme-pensiero che impediscono la concentrazione.
Tra la conoscenza teorica e la pratica
dello yoga intercorre un abisso; pertanto,
se la volontà è debole,
il tempo passa e non si ottiene nulla.
Se perdura il desiderio e l’attaccamento
alle cose materiali, bisogna apprendere
la tecnica del distacco, contrapponendo
ad un difetto il suo contrario.
Finché il Pensatore s’identifica
con la forma, le sue percezioni continuano
ad essere errate. E’ bene precisare
che esistono quattro tipi di visione
capaci di indurre in errore; essi sono:
la vista fisica, che risente dei nostri
limiti attuali; la vista eterica, che
permette di coglier l’aura che
circonda ogni essere vivente, mostrando
le sue condizioni psico-fisiche; la
chiaroveggenza che, sebbene consenta
di addentrarsi nella dimensione astrale,
tuttavia non si rivela affidabile, poiché
dipende da stati emotivi distinti dalla
vera percezione spirituale; ed infine
la visione simbolica, facoltà
del corpo mentale che permette di vedere
colori e simboli geometrici.
Gli aspetti superiori della visione,
invece, sono tre e comprendono la visione
pura che si ottiene quando l’anima
usa la mente come strumento di percezione,
attivando la ghiandola pineale e aprendo
il terzo occhio; la visione spirituale,
data dall’apertura del settimo
centro, che fa intuire lo scopo della
manifestazione; la visione cosmica,
inconcepibile per l’essere umano,
perché propria di Intelligenze
planetarie.
Gli ultimi ostacoli sono dati dall’incapacità
di concentrarsi, cioè di controllare
le modificazioni della mente, e di meditare,
cioè di riflettere sulle esperienze
vissute dall’anima.
31. Dolore, disperazione,
attività fisica malintesa ed
erronea direzione (o controllo) delle
correnti vitali sono effetti degli ostacoli
esistenti nella natura psichica inferiore.
Si prova dolore, quando
il corpo emotivo non riesce ad equilibrare
gli opposti e disperazione, quando l’aspirante
pensa di non riuscire nel suo intento.
L’attivismo sfrenato, privo di
una meta ben precisa, indica che non
si è raggiunta la pace interiore;
questo stato è tipico dell’umanità
odierna e comporta tensione ed aggressività.
Infine, le correnti vitali sono ben
dirette se ci si concentra intensamente,
si vive in modo ritmico e si organizza
con cura la propria vita, non quando
ci si dedica ad esercizi di respirazione
o di attivazione dei sette centri eterici.
Occorre, dunque, prima di dedicarsi
ad esercizi di hatha yoga, allineare
la propria personalità con l’anima;
automaticamente, le energie praniche
o vitali prenderanno la direzione giusta.
32. Per superare gli ostacoli e i loro
effetti, occorre intensa applicazione
del volere a qualche verità (o
principio).
Non è sufficiente
conoscere teoricamente quali siano gli
ostacoli e come superarli; occorre che
la volontà, tramite la mente,
s’impegni a rimuoverli uno ad
uno, contrapponendo loro un’azione
di segno contrario.
Per questo, è necessario conoscere
dapprima i princìpi che riguardano
l’essere umano, che vanno dal
piano fisico a quello spirituale, e
poi comprendere che le forme esprimono
le caratteristiche di ciascun livello.
Con l’uso cosciente della volontà
applicata ad ogni piano dell’essere,
dal fisico allo spirituale, si riesce
ad armonizzare la manifestazione inferiore
con quella superiore.
L’occultista conosce per esperienza
diretta le varie dimensioni in cui può
spostare la sua coscienza, nonché
le forme da usare in ciascuna di esse,
forme che costituiscono vari aspetti
assunti dall’unica Realtà.
In tal modo, diviene consapevole dell’attuale
imperfezione e degli ostacoli da superare;
quindi, applica la volontà sul
principio o sulla qualità divina
espressa dalle singole forme.
Solo così si riesce a passare
dalle tenebre alla luce, dalla morte
all’immortalità.
33. La pace di “chitta”
(o sostanza mentale) si consegue con
la simpatia e la tenerezza, con la tenacia
dei propositi e con il distacco dal
piacere e dal dolore, e da tutte le
forme di bene e di male.
La liberazione dalle
forme fisiche si ottiene tramite il
distacco nei loro confronti. Va precisato
poi che col termine simpatia ci si riferisce
ai rapporti da instaurare con l’umanità,
mentre la tenerezza riguarda l’atteggiamento
da assumere col regno animale. La tenacia
dei propositi va applicata invece verso
la Gerarchia.
Pertanto, il corpo fisico deve essere
un mezzo utile per aiutare i fratelli
umani, dimostrare amore nei confronti
degli animali, cooperare con la Gerarchia,
disciplinare il sé inferiore.
34. La pace di “chitta”
si ottiene anche regolando il prana,
o respiro vitale.
Anche il pranayama
o scienza del respiro, dunque, viene
incluso tra i metodi utili a pacificare
la mente, pur non rivestendo una particolare
importanza.
È opportuno regolare le azioni
quotidiane secondo un ritmo costante,
prima di passare alla scienza del respiro
e a quella dei sette centri attraverso
cui far scorrere le energie verso l’alto.
Quindi, all’inizio, si deve badare
a conseguire un equilibrio nella vita,
purificando la propria personalità,
così da escludere il rischio
di potenziare gli stimoli della natura
inferiore, invece di controllarli.
35. La mente può
essere educata alla stabilità
con quelle forme di concentrazione che
hanno rapporto con le percezioni dei
sensi.
L’aspirante deve
apprendere a trasferire gradualmente
la sua coscienza dalla sfera dei sensi
a quella del sé interiore, assumendo
così la parte dello spettatore
nei confronti di tutto ciò che
lo circonda, non lasciandosi quindi
più influenzare dagli eventi
esteriori.
36. Meditando sulla Luce e sulla Radianza
si conosce lo Spirito e quindi la pace.
Questo “sutra”
intende riferirsi alla bianca luce radiante
detta “gioiello” (cintamani)
che promana dal centro dei chakras esistenti
nella testa. Meditare su questa luce
permette di conoscere lo Spirito.
37. Quando si è purificata e
dominata la natura inferiore, “chitta”
è resa stabile e libera dall’illusione.
Meditare sull’esempio
fornito da grandi Esseri come Krishna,
il Buddha e il Cristo, liberatisi da
tutte le reazioni dei sensi, permette
al discepolo di seguirne le orme.
38. La pace (stabilità di “chitta”)
si consegue meditando sulla conoscenza
dei sogni.
Il sogno a cui si
allude è quello più profondo
che sperimenta l’individuo incarnato;
la potente illusione da lui vissuta
è prodotta dalle vibrazioni delle
cellule cerebrali.
Per l’occultista, quindi, la vita
non consiste in altro che in un sogno,
in un sonno profondo che altera l’aspetto
della Realtà, nascosta appunto
dietro il velo di maya.
39. La pace si acquista anche concentrandosi
su ciò che è più
caro al cuore.
La pace che fa seguito
al soddisfacimento dei desideri inferiori
non è duratura, perché
ben presto un nuovo stimolo insorge.
Invece, la riconquista di un antico
e stabile possesso interiore soddisfa
pienamente. Pertanto, è illusorio
inseguire una felicità basata
su ciò che è effimero.
40. In tal modo la realizzazione si
estende dall’infinitamente piccolo
all’infinitamente grande, da un
“anu” (atomo) ad “atma”
(Spirito) la conoscenza è perfetta.
L’adepto riesce
ad identificarsi sia con l’atomo
che con l’infinito, penetrandone
la coscienza, perché il livello
umano rappresenta il punto mediano dell’evoluzione.
Se si è consapevoli di ciò,
la mente concentrata entra in contatto
con ambedue le dimensioni.
41. Chi ha pieno dominio delle “vritti”
(modificazioni della mente) diviene
simile e identico a ciò che ha
realizzato. Il conoscitore, la conoscenza
ed il campo della conoscenza divengono
tutt’uno, così come il
cristallo assume il colore di ciò
che riflette.
Qui s’intende
dire che la mente può arrivare
a riflettere il pensiero del Pensatore.
Infatti, tre sono gli stadi della conoscenza:
quello che si limita a registrare le
forme circostanti, quello che ne coglie
l’essenza grazie ad un’intensa
concentrazione e quello che permette
d’identificarsi con l’anima
racchiusa entro le forme.
Giunti allo stadio della contemplazione,
ci si accorge che tutte le anime costituiscono
un’unità inscindibile;
è per questo che si può
indifferentemente collegarsi con la
coscienza dell’atomo, degli altri
individui, delle vite superumane o con
quella dello stesso Dio.
43. La percezione senza raziocinio si
ha quando la memoria non domina più,
parola e oggetto sono trascesi e solo
l’idea rimane.
Se si medita senza
far uso razionale della mente, cioè
se si contempla in modo puro, non si
considera più alcun oggetto,
né si ode la parola che lo definisce;
resta solo l’idea che esprime
ambedue e ci si addentra nel mondo delle
idee e delle cause.
44. Gli stessi due metodi di concentrazione,
con e senza raziocinio, si applicano
anche a ciò che è sottile.
Non esiste soltanto
la forma grossolana, ma anche una più
sottile che si percepisce con sensi
più acuti rispetto a quelli usati
normalmente.
La natura di Dio, che essenzialmente
è Amore o irresistibile Forza
attrattiva, è la causa che produce
le cose sottili, cioè che si
celano sotto il velo delle apparenze
esteriori.
45. Il concreto conduce al sottile e
questo, progressivamente, a quello stato
di puro essere spirituale chiamato “Pradhana”.
Si è visto
che, per penetrare nel cuore dell’essere,
occorre attraversare vari stadi; il
primo è quello della forma, che
costituisce l’involucro tangibile;
il secondo è quello cosiddetto
sottile, che indica la qualità
delle cose; si giunge infine al Pradhana,
termine sanscrito con cui si indica
la causa delle forme concrete, detta
Mulaprakriti dai Vedantini.
Essa esiste solo nell’aspetto
sottile e può essere definita
come Sostanza Primordiale o Materia-Spirito;
esiste in uno stato indifferenziato,
non ha forma o segni distintivi d’alcun
genere.
Al di là di essa, esiste il Principio
Assoluto, che non può essere
compreso da mente umana.
46. Tutto ciò costituisce la
meditazione con seme.
I quattro “sutra” precedenti
si riferivano ad altrettante forme di
concentrazione su un oggetto, anche
se di natura sottile, intangibile ed
invisibile per l’individuo comune.
Lo Yogi si accosta per gradi al puro
spirito, al Pensatore; può conoscerlo
direttamente, se riesce a trascendere
la sfera delle sensazioni e della mente,
raggiungendo così la dimensione
del divino. A questo livello, le vibrazioni
inferiori ed i colori non saranno più
percepiti e resterà solo la luce
ed il suono, perché dal mondo
della forma si è passati a quello
a-formale.
Il conoscitore è immerso nella
contemplazione della sua pura natura
spirituale e sperimenta la meditazione
ideale, senza seme, cioè senza
bisogno di concentrarsi su un oggetto
particolare.
Questo stato non va confuso col sonno
fisico o con la “trance”,
perché il meditante resta pienamente
cosciente, anche se su livelli che trascendono
lo stato di veglia normale.
47. In questo stato super-contemplativo,
lo Yogi conquista la pura realizzazione
spirituale per mezzo dell’equilibrio
e della pace di “chitta”
(sostanza mentale).
Quando la sostanza mentale è
del tutto calma, si stabilisce il contatto
fra l’anima e la monade o spirito;
la conoscenza che ne deriva è
trasmessa al cervello per mezzo della
mente, che svolge le funzioni d’intermediario
tra questi principi dell’essere
umano.
48. La sua percezione è allora
esatta (o la sua mente svela soltanto
il vero).
La sostanza mentale
calma, perché non ci s’identifica
con la mente od altri involucri del
sé, trasmette al cervello ciò
che fluisce dai livelli più alti.
Ora si può conoscere la verità
e svelare la causa di ciascuna forma
all’interno di ogni regno naturale.
In ciò consiste la vera magia
bianca.
49. Questa speciale percezione è
unica e rivela ciò che la mente
razionale (con la testimonianza, l’induzione
e la deduzione) non può scoprire.
La mente umana può
svelare ciò che riguarda l’oggettività,
ma solo identificandosi con la monade,
con il divino sé in noi, si conosce
la natura dello spirito, che Dio è,
che noi siamo Sue manifestazioni e che
nulla esiste al di fuori della Vita
Una.
50. Essa avversa tutte le altre impressioni,
e tutte le sostituisce.
I sensi forniscono
un’interpretazione errata della
realtà, perché mostrano
gli effetti della vita interiore, non
le cause o le energie che li producono.
Del resto, la mente stabilisce un rapporto
col mondo del pensiero che comprende
anche l’attività mentale
del pianeta, ma anch’essa induce
ad interpretazioni errate, perché
parziali.
Solo nello stato super-contemplativo
ci si polarizza nella natura spirituale
e si vive quale anima o Cristo interiore,
la sostanza mentale è quieta,
i tre aspetti inferiori (fisico, emotivo
e mentale) risultano allineati, il cervello
riceve percezioni corrette ed il terzo
occhio si apre.
Si può dire, quindi, che ogni
campo di coscienza raggiunto mediante
stati emotivi e mentali sia psichico.
51. Quando questa percezione è
a sua volta dominata (o trascesa) il
puro “Samadhi” è
raggiunto.
Nello stato di Samadhi
si conosce lo stato di coscienza in
cui è immerso l’uomo spirituale
e si percepiscono i livelli a-formali
del sistema solare. La coscienza s’identifica
con le energie proprie della Vita divina
e la grande eresia della separatività
è definitivamente trascesa.
FINE DEL PRIMO LIBRO
LIBRO II°
GLI STADI CHE
CONDUCONO ALL’UNIONE
1. Lo Yoga dell’azione,
che conduce all’unione con l’anima,
è ardente aspirazione, lettura
spirituale e devozione per Ishvara.
Vari tipi di yoga permettono di conseguire
la coscienza spirituale. Il Raja Yoga,
però, costituisce la via regale
alla realizzazione e risulta il più
adatto all’attuale razza umana;
esso può dirsi la sintesi di
tutti gli altri. Infatti, è l’unico
che comprenda la scienza della mente
e della volontà diretta a uno
scopo. Grazie ad esso, perciò,
il triplice uomo inferiore, formato
dall’involucro fisico emotivo
e mentale razionale, diviene uno strumento
dell’anima.
Il Bhakti Yoga, invece, rappresenta
la via del cuore che invita a ricercare
sopra ogni cosa il Dio d’Amore;
esso permette di divenire un santo iniziato
ai Misteri (arhat); era praticato dalla
razza atlantidea, che ha preceduto la
nostra.
Il Karma Yoga si pone in rapporto con
l’attività fisica; esso
comprende l’Hatha Yoga che insegna
ad essere coscienti di tutte le funzioni
del corpo, per non viverle in modo automatico,
ed il Laya Yoga, che riguarda il corpo
eterico ed i suoi centri di forza (chakras),
risvegliando il fuoco serpentino che
dorme alla base della colonna vertebrale
(kundalini) e distribuendo le correnti
vitali; esso fu insegnato alla razza
lémure.
La pratica del Karma Yoga risveglia
i quattro centri sotto il diaframma,
il Bhakti Yoga attiva i due centri del
cuore e della gola, mentre il Raja Yoga
dapprima sintetizza tutte le forze nella
regione della testa e poi le ridistribuisce
a tutto il corpo.
Quando l’attuale razza umana,
definita ariana dagli occultisti, avrà
compiuto il suo ciclo evolutivo, quasi
tutti i suoi componenti si riconosceranno
figli di Dio ed useranno coscientemente
i poteri divini racchiusi nell’anima;
solo per una minoranza la durata di
una manifestazione cosmica (manvantara)
non consentirà di acquisire lo
stesso risultato; pertanto, essa verrà
immessa in un nuovo ciclo evolutivo
in cui perverrà alla sua realizzazione.
Questo traguardo è raggiunto
grazie ad un’ardente aspirazione,
alla pratica della lettura spirituale,
una capacità propria del corpo
mentale che consente di stabilire un
contatto col centro di coscienza dell’oggetto
preso in esame, ed infine alla devozione
per Ishvara che riguarda il corpo emotivo
e sospinge all’amore per Dio.
I devoti a Ishvara stabiliscono un rapporto
tra il sé personale ed il Sé
superiore, detto anche Cristo nel cuore
o con termine sanscrito Ishvara o Jiva.
Questo processo permette di acquisire
la coscienza di gruppo, cioè
di superare l’egoismo.
Tale capacità è insita
in ciascuno di noi, tanto nel selvaggio
come nell’adepto; la differenza
consiste solo nel grado di manifestazione
e di dominio che si riesce a conseguire.
È bene chiarire un punto, però;
l’Io divino nel cuore degli uomini
può essere definito il Maestro
dei Maestri; pertanto, la vera scienza
dello yoga non insegnerà mai
l’obbedienza incondizionata nei
confronti di un guru o di un mahatma,
perché un simile atteggiamento
annienterebbe la volontà individuale;
occorre, invece, saper sottomettere
la personalità terrena alla volontà
del Dio interiore.
Infine, va detto che la pratica della
lettura spirituale rappresenta la preparazione
esoterica più importante; essa
infatti costituisce il primo passo del
Raja Yoga, perché ci si allena
a vedere in ogni forma il simbolo di
un’idea, cioè di un’energia
spirituale che, attraverso un pensiero
ed un suono, ne ha consentito la manifestazione.
2. Lo scopo è raggiungere la
visione dell’anima eliminando
gli ostacoli.
Gli impedimenti che
si frappongono alla visione dell’anima
s’annidano nel fisico, nell’emotivo
e nel mentale e possono essere stati
posti sia in vite precedenti che in
questa esistenza, oppure derivano dalla
famiglia e dalla razza di appartenenza.
3. Avidya (ignoranza), senso della personalità,
desiderio, odio e attaccamento sono
gli ostacoli che producono le difficoltà.
Questi sono gli atteggiamenti
da evitare, perché inducono ad
identificarsi con gli aspetti inferiori
e materiali, dimenticando la nostra
origine divina.
Una volta distrutti, si esaurirà
il karma, ci si libererà dalla
ruota delle rinascite e si otterrà
la perfetta visione dell’anima.
4. Avidya (ignoranza) è la causa
di tutti gli altri ostacoli, siano essi
latenti, in via di eliminazione, superati
o in pieno vigore.
Quando si assume una
forma, si è automaticamente soggetti
a limitazioni; la scintilla divina racchiusa
all’interno può emergere
solo dopo aver stabilito un contatto
con il mondo e lottato contro gli involucri
che l’imprigionano.
Il processo del risveglio si compie
in tempi lunghissimi, ma alla fine si
supera quell’ignoranza che costringe
alla ruota della rinascita ed impedisce
di usare i poteri dell’anima.
5. Avidya è lo stato per cui
si confonde il permanente, il puro,
il beato e il Sé con ciò
che è impermanente, impuro, doloroso
e non-sé.
L’ignoranza
si riferisce al mondo fisico, emotivo
e mentale; è una conseguenza
necessaria per la scintilla divina che
assume una forma; essa è inconsapevole
e deve usare i sensi per fare esperienza
della materia. Così facendo,
s’identifica con la forma, finché
il Sé riconosce il non-sé
come un involucro, come uno strumento
necessario per orientarsi nel mondo,
ma non essenziale; quindi, la fase della
conoscenza è trascesa ed il Conoscitore
contempla se stesso.
Questa è la via della liberazione
e la meta da raggiungere.
6. Il senso della personalità
nasce dall’identificarsi del conoscitore
con gli strumenti della conoscenza.
Il Conoscitore o uomo
spirituale che vive all’interno
di ciascuno possiede vari strumenti
atti a stabilire il contatto con l’esterno
e per risvegliare la propria consapevolezza:
tre involucri o corpi (fisico, emotivo
e mentale), cinque sensi e la mente
considerata come un sesto senso.
La prima funzione della mente è
quella di raccogliere le impressioni
e trasmetterle all’ego o conoscitore;
così facendo, nasce il senso
della personalità.
In seguito, l’identificazione
col non-sé si attenua, perché
si apprende il sistema di trasmettere
al cervello i pensieri, i desideri e
la volontà dell’ego o anima.
Alla fine, la mente è usata dall’anima
come mezzo per conoscere la dimensione
superiore.
7. Il desiderio è attaccamento
agli oggetti di piacere.
Gli oggetti di piacere
si riferiscono sia ad oggetti materiali
che alle emozioni e alle attività
intellettuali, fino a comprendere le
estasi del mistico.
In tutti questi casi, infatti, si registra
una tendenza estrovertita dello spirito,
finché, a causa di delusione
e dolore, non resta che confrontarsi
con l’interna realtà spirituale.
A questo punto, l’individuo, pur
restando nella dimensione materiale,
opera dal centro dove esiste il divino
sé e non è più
attirato da nulla.
8. L’odio è avversione
per un qualsiasi oggetto dei sensi.
Il vero Yogi non prova
desiderio, ma nemmeno avversione; resta
equidistante tra gli opposti. L’amore
aggrega, perché scopre l’unità
celata in tutte le forme; l’odio
è un prodotto della personalità
e dell’ignoranza che separa ed
ostacola il processo evolutivo.
9. L’attaccamento è intenso
desiderio per l’esistenza senziente.
È insito in ogni forma, si perpetua
da sé e lo conoscono anche i
saggi.
L’attaccamento
causa ogni tipo di manifestazione, compresa
l’incarnazione umana, prodotta
dalla brama di vita.
Non deve meravigliare il fatto che anche
i saggi vi siano soggetti; infatti,
finché il Logos prende forma
in un sistema solare, questa tendenza
sussisterà negli Spiriti planetari
e nelle entità spirituali più
eccelse. L’unico modo per superarlo
consiste nel non essere più attratti
dalle forme.
Bisogna chiarire, però, che la
volontà di vivere o di manifestare
implicita nella Vita divina è
giusta e necessaria; cessa di esserlo,
invece, quando, compiuto il suo ruolo
di mezzo d’esperienza, non serve
più al suo scopo.
Quando la Vita o Spirito si ritrae,
la forma muore. Così, quando
il pensiero dell’ego o Sé
superiore contempla il proprio mondo,
non invia più energia agli involucri
esterni e l’attaccamento cessa.
Pertanto, lo Spirito conosce un impulso
involutivo, quando discende nella forma;
invece, produce una spinta evolutiva,
quando si distacca da essa e ne provoca
la disintegrazione.
10. Quando questi cinque ostacoli sono
conosciuti nella loro intima natura,
possono essere rimossi con atteggiamento
mentale opposto.
Gli ostacoli costituiti
da avidya, personalità, desiderio,
odio e attaccamento sono riconosciuti
come tali dall’uomo interiore;
quindi, l’aspirante discepolo
s’impegna a superarli agendo sul
piano mentale, dapprima controllando
il flusso dei propri pensieri e poi
contrapponendo ad essi forze di segno
opposto.
In tal modo, s’innesca il processo
della liberazione e l’ignoranza
(avidya) verrà soppiantata dalla
vera conoscenza (vidya).
11. Occorre estinguere la loro attività
con la meditazione.
La lunga assuefazione
al mondo delle forme fa sì che
le attività individuali siano
governate dai suddetti cinque ostacoli.
Occorre rimuoverli, ricorrendo ad una
strenua opposizione mentale che si esplica
nella pratica meditativa capace di coinvolgere
il Pensatore, la mente ed il cervello.
12. Il karma stesso vi ha la propria
radice e deve dare i suoi frutti, in
questa o in altra vita.
Finché non
si superano gli ostacoli, questi produrranno
inevitabili effetti, che porteranno
sofferenze ed impediranno la liberazione
dal ciclo di nascite e morti.
13. Finché le radici (Samskara)
esistono, i loro frutti saranno nascita,
vita ed esperienze di piacere e dolore.
Si ricordi che la
causa prima dell’esistenza nei
tre mondi (fisico, emotivo e mentale)
è l’Ego stesso, che però
è in grado di reagire alle impressioni
dei sensi.
Ciò accade quando si stabilisce
un contatto diretto con L’Ego,
in grado di distaccarsi da pensieri
e desideri che alimentano la personalità
transitoria.
Ottenuto questo risultato, però,
bisogna sorvegliare i pensieri, per
evitare che vengano poste delle cause
in grado di produrre nuovo Karma.
14. Questi semi (Samskara) producono
piacere o dolore secondo la loro causa
originaria, buona o cattiva.
La liberazione dalla
materia dona la vera gioia, mentre il
male genera dolore, perché l’Io
divino soffre finché è
imprigionato nel fisico.
15. Per l’uomo illuminato tutta
l’esistenza (nei tre mondi) è
dolore, per l’attività
delle guna. Queste attività sono
triplici e producono conseguenze, ansietà
ed impressioni subliminali.
Col termine “guna”
s’intende definire le tre qualità
della materia inerenti a tutte le forme:
ritmo (sattva), attività (rajas)
ed inerzia (tamas). Anche un Adepto,
quindi, per il fatto stesso di trovarsi
nella dimensione fisica, è limitato
nei suoi poteri.
In particolare, l’inerzia caratterizza
i tre involucri dell’uomo inferiore,
cioè il fisico, l’emotivo
ed il mentale; l’attività
distingue le doti dell’anima,
che vuole sperimentare e poi servire;
il ritmo o equilibrio, infine, è
la qualità dello spirito e sospinge
la vita nelle sue varie manifestazioni
verso la meta.
L’equilibrio o ritmo è
proprio della mente, quando essa è
orientata nel senso giusto; l’attività
o moto è tipica della natura
emotiva e rischia di essere caotica,
se non adeguatamente controllata; l’inerzia
si annida nel corpo fisico.
Il dolore deriva dal conflitto che nasce
dall’incontro nel tempo e nello
spazio di due opposti; la Materia e
lo Spirito, infatti, si muovono in due
direzioni diverse, creando attrito.
Le conseguenze a cui si allude nel “sutra”
sono prodotte dal karma accumulato in
passato ed ora in via di smaltimento;
l’ansietà, invece, non
deriva solo dal timore della sofferenza,
ma anche dalla paura di fallire nel
servizio; le impressioni subliminali,
infine, si riferiscono al futuro e riguardano
i presentimenti di morte, di dolori
e ristrettezze.
16. Il dolore futuro
può essere schivato.
Il controllo mentale
e la trasmutazione dei desideri evitano
inutili sofferenze. Praticando il distacco
e disciplinando la natura inferiore,
si evitano le azioni capaci di produrre
karma e si accettano serenamente gli
effetti di cause poste in precedenza.
17. L’illusione che il Percipiente
e ciò che è percepito
siano la stessa cosa, è la causa
(del dolore) che deve essere eliminata.
L’uomo spirituale
si libera da tutte le limitazioni imposte
dalla forma, riuscendo a rimanere in
disparte, come un osservatore esterno
degli eventi in cui è coinvolto.
Egli allora userà le forme per
i suoi scopi, ma non s’identificherà
più con esse. Lo scopo del Raja
Yoga è appunto quello di operare
il distacco dalle illusioni mentali
e dal mondo fenomenico.
Si ricordi che anche la mente è
considerata alla stregua degli altri
sensi ingannatori, sebbene sia necessaria
per sperimentare ciò che in seguito
andrà trasceso. Il puro spirito,
infatti, nella sua dimensione, è
incosciente ed ha bisogno di prendere
contatto con la materia che costituisce
il suo polo opposto.
18. Ciò che è percepito
ha tre qualità: “sativa”,
“rajas” e “tamas”
(ritmo, mobilità e inerzia);
consiste degli elementi e degli organi
sensoriali. L’uso di questi genera
esperienza e poi liberazione.
Questo “sutra”
riassume tutte le fasi dello sviluppo
umano. All’inizio, l’individuo
è caratterizzato dall’inerzia,
che può essere superata solo
dopo numerose e dolorose esperienze.
Uno dopo l’altro, si attivano
i cinque sensi, cui fa seguito il risveglio
della mente che predomina sugli altri.
In seguito, il vero Io riesce a disciplinare
il corpo mentale, vivendo in armonia
con se stesso, con l’ambiente
ed iniziando a collaborare col Piano
divino.
Nello stato “sattvico”,
l’uomo continua ad essere parte
del tutto, non più però
schiavo della forma, che viene usata
come un semplice strumento.
19. Quattro sono le divisioni delle
“guna”(qualità della
materia): lo specifico, il non-specifico,
il designato, l’intangibile.
Il “sutra”
si riferisce alla natura settenaria
della materia in tutte le possibili
manifestazioni: dall’atomo al
Logos solare.
La Vita divina è trina, pur restando
una: Shiva rappresenta il Padre immanifestato,
mentre Vishnu è il secondo aspetto
o Cristo cosmico che si riveste di materia
attiva ed intelligente o Brahma, per
assumere una forma concreta.
Le tre “guna” possono suddividersi
in sedici parti dette specifiche, in
relazione alle reazioni individuali
nei confronti del mondo oggettivo. Esse
sono: i cinque elementi (etere, aria,
fuoco, acqua e terra) prodotti dal non-specifico
o suono primordiale; i cinque organi
dei sensi (orecchio, pelle, occhio,
lingua e narici) che permettono di prendere
contatto col mondo sensibile; i cinque
organi dell’azione (vocali, mani,
piedi, escretivi e generativi); la mente,
il sesto senso che sintetizza tutti
gli altri.
Seguono poi sei suddivisioni non-specifiche
(tanmatras) che si riferiscono ad aspetti
soggettivi o intangibili, nonché
alla manifestazione di forze che producono
forme od organi corrispondenti; esse
sono quelle dell’udito, del tatto,
della vista, del gusto, dell’odorato
ed infine quella che fa nascere il senso
della personalità, cioè
la coscienza di essere un individuo,
quella che fa dire: “Io sono io”,
facoltà di cui gli altri regni
di natura sono ancora privi.
Ora, se è vero che l’individualizzazione
produce il senso errato della separatività
e la grande illusione che circonda gli
esseri incarnati, è pur vero
che alla fine indurrà a ricercare
i mezzi per liberarsene.
La causa di tutte le suddette suddivisioni
è Buddhi, altrimenti detta Ragione
pura, Intelletto distinto dalla mente
inferiore, Intuizione. Essa è
caratterizzata dall’Amore-Saggezza
e s’identifica con quel Principio
Cristo o Vita interiore, la cui esistenza
resta oggetto di fede per la maggioranza
dell’umanità che deve ancora
sperimentarla. La pratica del Raja Yoga
consentirà di acquisire tale
conoscenza.
Infine, esiste l’Intangibile,
il Dio sconosciuto che include tutte
le forme. Esso è inconcepibile
da mente umana, perché consta
del complesso della sostanza pensante
che ingloba tutte le singole menti individuali.
20. Il veggente è conoscenza
pura (gnosi). Per quanto puro, egli
osserva l’idea attraverso la mente.
Per veggente s’intende
l’uomo spirituale che usa la mente
come mezzo per indagare il mondo degli
effetti, quello delle cause e se stesso.
Il cervello, a differenza di quanto
ritengono i materialisti che attribuiscono
ad esso la produzione dei pensieri,
svolge le funzioni di una lastra sensibile
su cui l’Io imprime la sua conoscenza
pura, cioè non deformata dall’illusione,
usando la mente come strumento di trasmissione.
21. Tutto ciò che esiste è
per il bene dell’anima.
L’anima qui
menzionata non è quella umana,
ma l’Essere Supremo, di cui siamo
una parte infinitesimale. Il mondo umano
non è altro che il prodotto di
una nostra proiezione mentale e serve
solo per le esperienze che può
fornire, ma alla fine va trasceso.
Quindi, non è detto che tutto
esista in funzione nostra; anzi, è
vero il contrario; il nostro pianeta
fa parte di un sistema più vasto
che esiste per il bene di una Vita maggiore,
di cui l’individuo non è
che un atomo.
22. Per chi ha conseguito lo Yoga (Unione)
l’universo oggettivo non esiste
più. Perdura invece per chi non
è ancora libero.
Tutto ciò che
vediamo è una delle possibili
ed infinite modificazioni della sostanza-pensiero
che il Pensatore, sia esso un uomo o
lo stesso Dio, proietta come un ologramma,
per creare il proprio mondo.
Ora, poiché lo Yoga sopprime
le attività del principio pensante,
libera dalla soggezione nei confronti
di quelle forme che imprigionano la
maggioranza degli individui nell’illusione
dei tre mondi (fisico, emotivo e mentale).
Si squarcia, allora, il velo di maya
e si percepisce la Realtà, cioè
il mondo delle cause e le forze che
ne promanano.
È ovvio che le leggi dei tre
mondi non sono annullate, ma solo trascese,
perché l’elemento maggiore
include sempre il minore senza distruggerlo.
23. L’associazione dell’anima
con la mente, e quindi con ciò
che questa percepisce, fa comprendere
la natura sia di ciò che è
percepito sia del Percipiente.
L’anima o coscienza
percipiente deve comprendere che gli
opposti, spirito (purusha) e materia
(prakriti), sono in contatto; è
così che si riconosce la propria
natura spirituale e quella del mondo
fenomenico.
La discriminazione farà comprendere
la differenza che intercorre tra spirito
e materia, la natura dell’anima
generata dall’unione del padre-spirito
e della madre-materia, nonché
la necessità d’identificarsi
con l’aspetto spirituale.
L’unificazione avviene per gradi;
prima ci s’identifica con l’aspetto
esteriore, poi con l’anima ed
infine con lo spirito, altrimenti detto
pensatore divino, Padre celeste, Monade.
24. Causa di tale associazione è
l’ignoranza o avidya. Questa deve
essere superata.
L’anima, ignorando
la propria natura, in un primo tempo
s’identifica con gli organi della
percezione che le svelano il mondo oggettivo.
Questa ignoranza, però, produce
degli effetti spiacevoli che inducono
ad orientarsi in modo diverso, alla
ricerca del sé.
Attraverso una serie d’espansioni
di coscienza, ci s’identifica
con l’uomo spirituale. Si può
dire quindi che l’individuo viva
dapprima una vita umana, poi una vita
mistica ed infine una vita occulta.
25. La grande liberazione è raggiunta
quando si elimina l’ignoranza
dissociandosi dalle cose percepite.
La cosiddetta “grande
rinuncia” affrancherà l’individuo
dalla dipendenza dai tre mondi. Il processo
è lungo ed attraversa varie fasi;
dapprima occorre purificarsi, poi vivere
l’esperienza del discepolato,
guidati da un “guru” o maestro,
ed infine sperimentare varie espansioni
di coscienza o iniziazioni sempre seguiti
da una guida esperta.
26. La schiavitù è soppressa
con la pratica della discriminazione
perfetta.
La discriminazione
permette di comprendere che tutto in
natura deriva dall’unione dei
due poli dell’Assoluto: lo spirito
e la materia.
La teoria, però, deve essere
verificata e ciò diviene possibile
solo assumendo la qualità del
polo superiore, coltivando la coscienza
del reale in ogni attività quotidiana.
Questa prassi non è semplice,
né immediata e solo lentamente
può calarsi nella vita ordinaria,
finché si arriva a percepire
sia le forme che la loro causa .
La qualità che il discepolo sviluppa
successivamente è quella del
distacco dalle forme che prima attraevano
in modo irresistibile.
27. La conoscenza (illuminazione) è
settemplice e progressiva.
Gli stati di coscienza
mentale sono sette. Il desiderio di
conoscere spinge l’anima ad incarnarsi,
per far esperienza dei mondi illusori.
Il desiderio di libertà induce
a liberarsi dalla ruota delle rinascite.
Il desiderio di felicità provoca
quell’irrequietezza che dà
impulso all’evoluzione. Il desiderio
di fare il proprio dovere aiuta ad adempiere
il “dharma”, cioè
lo scopo dell’esistenza che è
servizio disinteressato. Il dolore è
proporzionale al progresso compiuto,
perché la sensibilità
individuale va sempre più affinandosi.
La paura, che può essere dominata
solo dall’Ego. Il dubbio, che
affiora quando non si crede più
nelle capacità della mente di
fornire spiegazioni.
Questi sette stati mentali permettono
all’individuo di comprendere che
la vita nel mondo fisico, le esperienze
emotive e le attività mentali
non possono offrirgli più nulla.
Essi s’identificano con le sette
iniziazioni che gradualmente conducono
alla perfezione.
GLI OTTO MEZZI
28. Quando i mezzi
di Yoga sono stati praticati con costanza
e l’impurità è rimossa,
si ha la chiarezza che conduce all’illuminazione
completa.
Conclusa la parte
teorica, i sutra Yoga di Patanjali indicano
i mezzi per conseguire l’unione,
cioè come disciplinare e purificare
l’uomo inferiore nel suo triplice
aspetto (fisico, emotivo e mentale).
Ciò produce un duplice effetto:
quello di poter discriminare tra sé
e non-sé, tra spirito e materia,
non in modo teorico, ma sperimentale;
e quello di saper discernere l’anima
celata dai suoi involucri. È
a questo punto che comincia ad essere
percepita nella testa, vicino alla ghiandola
pineale, una luce sempre più
vivida.
29. Gli otto mezzi di Yoga sono: comandamenti,
o Yama; regole, o Nijama; posizione,
o Asana; retto controllo della forza
vitale, o Pranayama; astrazione, o Pratyahara;
attenzione, o Dharana; meditazione,
o Dhyana; contemplazione, o Samadhi.
La pratica di questi
mezzi di liberazione va attuata contemporaneamente
in tutti e tre i corpi (fisico, emotivo
e mentale), per coinvolgere tutta la
personalità. Allora, l’Ego
può illuminare tutto l’uomo
inferiore coordinato, allineato e proteso
verso l’alto.
1° Mezzo
Comandamenti (Yama).
Sono cinque e riguardano i rapporti
da instaurare con gli altri e con l’ambiente;
essi presuppongono l’autocontrollo
e l’astensione da azioni errate.
2° Mezzo
Regole (Nijama). Anch’esse
sono cinque e si riferiscono alla vita
interiore.
3° Mezzo
Posizione (Asana).
Riguardano la posizione del corpo durante
la meditazione, l’atteggiamento
emotivo verso l’ambiente e la
disposizione mentale verso le idee,
così che i tre corpi formino
un canale perfetto per far fluire la
vita dello spirito.
4° Mezzo
Retto dominio della
forza vitale (Pranayama). La regolazione
del respiro permette al corpo eterico
di trasmettere al fisico le correnti
vitali emanate dall’ego.
5° Mezzo
Astrazione (Pratyahara).
Provoca effetti sul corpo emotivo; il
progressivo distacco dal mondo sensibile
elimina i desideri.
6° Mezzo
Attenzione (Dharana).
Implica concentrazione e dominio dell’attività
mentale, che diviene un docile strumento
del Pensatore.
7° Mezzo
Meditazione (Dhyana).
Trasmette al cervello pensieri di ordine
superiore e concetti idealistici.
8° Mezzo
Contemplazione (Samadhi).
L’uomo spirituale medita sul mondo
delle cause; la mente trasmette al cervello
ciò che l’anima conosce,
così da ottenere l’illuminazione.
PRIMO MEZZO.
I COMANDAMENTI
30. Innocuità,
veracità verso tutti gli esseri,
astensione dal furto, dall’incontinenza
e dall’avidità sono Yama,
o i cinque Comandamenti.
Se fossero praticati
correttamente, renderebbero perfetti
i rapporti tra gli uomini ed i regni
super e sub-umani. I primi tre comandamenti
coinvolgono l’aspetto fisico dell’individuo,
il quarto quello emotivo ed il quinto
quello mentale.
31. Yama è il dovere universale,
senza considerazione di razza, luogo,
tempo, circostanza.
Le leggi che regolano la condotta umana
presentano una valenza universale.
SECONDO MEZZO. LE REGOLE
32. La purificazione
interiore ed esterna, il contentarsi,
l’ardente aspirazione, la lettura
spirituale e la devozione per Ishvara
sono Nijama (o le cinque regole).
Ai comandamenti succitati
ed a queste regole deve attenersi l’individuo,
prima di praticare qualsiasi forma di
yoga.
La purificazione si riferisce ai tre
corpi che rivestono il Sé; quindi,
riguarda non solo il fisico, ma anche
l’emotivo ed il mentale che non
devono essere contaminati dall’ambiente.
Quando ci si contenta del proprio stato,
la mente è quieta e si accetta
il proprio karma, fidando in un ulteriore
progresso.
L’ardente aspirazione si ha quando
si tende a tal punto verso la meta che
nessuna difficoltà può
far indietreggiare.
La lettura spirituale permette di cogliere
il senso profondo delle scritture o
dei simboli che esprimono un’idea,
nonché le cause dei propri impulsi
emotivi.
La devozione per Ishvara riguarda la
disponibilità a servire l’ego
o il Cristo interiore.
33. Quando esistono pensieri contrari
allo Yoga, si devono coltivare quelli
ad esso opposti.
In genere, i pensieri
producono reazioni emotive e fisiche
che ostacolano l’Unione. Pertanto,
è opportuno favorire quelli che
permettono di conoscere e di identificarsi
col vero Io.
Inoltre, si può visualizzare
ciò che si pensa o s’immagina,
per stimolare il corpo emotivo ed ottenere
risultati tangibili.
Agire in tal senso produce energie che
vivificano l’eterico, il quale
a sua volta influisce sul fisico; è
così che si ottiene una trasformazione
interiore.
34. Pensieri contrari allo Yoga sono:
l’essere nocivo, la falsità,
il furto, l’incontinenza e l’avidità,
siano essi praticati di persona, causati
in altri, o approvati; sia che derivino
da avidità ira o illusione (ignoranza);
siano lievi, medi o forti. Da essi nascono
sempre grande dolore e ignoranza. Per
tale ragione si devono coltivare i pensieri
opposti.
Trasgredire i comandamenti
genera sempre qualche effetto. Infatti
il Sé, racchiuso nella forma,
subisce il fascino dell’illusione;
per cui, coltivando pensieri contrari
allo Yoga, si rafforza l’errore.
35. Alla presenza di chi è perfettamente
innocuo cessa ogni ostilità.
L’amore universale
dona il senso dell’unione col
tutto ed elimina l’aggressività;
questo atteggiamento rende inoffensive
nei nostri riguardi anche le belve,
che percepiscono questo stato d’animo.
Le storie di animali feroci resi mansueti
da santi e yogi trovano, così,
una spiegazione razionale.
36. Quando si è in perfetta sincerità
verso tutti gli esseri, l’efficacia
delle parole e degli atti si manifesta
immediata.
Solo col tempo si
arriva a dire ciò che è
del tutto esatto. La verità che
si possiede è relativa e dipende
dall’evoluzione conseguita.
Bisognerebbe percepire l’essenza
divina celata nelle forme e costruire
una forma capace di esprimere la verità
tutta intera, favorendone altresì
l’evoluzione, ma ciò è
proprio solo dell’adepto, che
si serve di parole e gesti rituali.
Per l’aspirante, invece, è
sufficiente che parole ed azioni siano
coerenti con ciò che si reputa
vero; pertanto, occorre vigilare su
ogni parola, esercitarsi nel silenzio,
comprendere le cause delle azioni, intuire
la realtà in ogni forma, studiando
la legge del karma che tende a rendere
la materia conforme alle esigenze dello
spirito.
37. Quando l’astensione dal furto
è totale, lo Yogi può
avere tutto ciò che vuole.
Se non si desidera
nulla in senso egoistico, si riceve
ciò di cui si ha veramente bisogno.
Va precisato che il concetto di furto
si applica non solo ad oggetti materiali,
ma anche alla sfera emotiva e mentale.
Pertanto, chi non chiede per sé
amore, simpatia, reputazione e popolarità
che non gli spettano, non diviene bersaglio
dell’antipatia, dell’odio
o dell’invidia altrui.
38. L’astensione dall’incontinenza
genera energia.
Il potere che l’uomo
e la donna hanno di creare una vita
costituisce l’atto fisico supremo;
pertanto, sperperare la forza vitale
conducendo una vita dissoluta svaluta
l’importanza della procreazione
e rivela assenza di autodominio.
I Maestri non impongono il celibato,
ma invitano a disciplinare i desideri;
quindi, per l’aspirante è
sufficiente condurre una retta vita
sessuale e rispettare le leggi del proprio
Paese.
Lo yogi che conserva le proprie energie
rispettando la continenza può
trasmutare e sublimare il principio
vitale, creando nella sfera mentale.
Infatti, l’energia che verrebbe
dissipata attivando il centro inferiore
viene concentrata e trasformata nell’opera
creativa del mago bianco, che pertanto
prende decisamente le distanze dalle
pratiche della magia sessuale che appartengono
alla via della mano sinistra, cioè
alla magia nera.
39. Quando si è perfettamente
privi di avidità si comprende
la legge della rinascita.
Il desiderio per qualsiasi
tipo di forma imprigiona lo spirito
nel fisico. È per questo che
l’antica saggezza invita a sradicare
i desideri, origine d’ogni male
e del dolore.
Praticare la contentezza, invece, consente
di liberarci dai mondi illusori; è
allora che si comprendono le leggi che
governano l’esistenza, cioè
lo scopo del passato, il senso della
situazione presente e quali comportamenti
adottare per il futuro.
40. La purificazione interiore ed esterna
produce avversione per la forma; sia
per la propria che per tutte le altre.
La purezza è una qualità
dello spirito e la si realizza assimilando
atomi e molecole atti a costituire una
forma che non ostacoli l’azione
dello spirito.
Occorre quindi disporre la mente al
contatto con l’anima, senza considerare
la forma come un male in sé,
ma divenendo consapevoli che la sua
funzione è solo temporanea.
Non è detto poi che chi sia pervenuto
alla liberazione finale non possa volontariamente
tornare ad incarnarsi per scopi di servizio
nei confronti di chi è ancora
prigioniero di “maya”; egli
sceglie il sacrificio di sé per
abnegazione ed altruismo, non perché
vi sia costretto dal richiamo di desideri
inappagati.
41. La purificazione dona anche quiete
allo spirito, concentrazione, controllo
degli organi e capacità di vedere
il Sé.
Effettuata la purificazione,
si è in grado di dominare gli
organi della percezione fisica, di desiderare
in modo puro senza attaccamento alla
forma, di sviluppare i centri lungo
la spina dorsale, di sintonizzarsi con
il vero Io.
Tutto ciò all’inizio può
provocare un tumulto interiore, ma poi
genera quiete e serenità.
42. L’appagamento produce beatitudine.
Il “sutra”
insegna a non affliggerci per gli eventi
della vita, ma ad accettarli serenamente.
43. Con l’ardente aspirazione
ed eliminando ogni impurità,
si perfezionano le facoltà del
corpo e dei sensi.
Qui si fa riferimento
alla purificazione attraverso il fuoco
e l’aria che si attua praticando
lo yoga. Infatti, il richiamo dell’anima
smuove il fuoco serpentino o “kundalini”
annidato alla base della spina dorsale
e lo sospinge verso l’alto, così
da ardere ogni ostacolo e vivificare
tutti i centri eterici, compresi quelli
del capo, dove si attivano le arie vitali
entro i ventricoli della testa.
44. La lettura spirituale pone in contatto
con l’anima (o col divino).
Si allude alla capacità
di intuire il significato dei simboli
che celano un pensiero, un’idea
o una verità. Anche la forma
umana è un simbolo, essendo la
manifestazione di un pensiero divino.
Non ci si deve identificare con essa,
vista la sua funzione provvisoria di
semplice strumento in vista di un’ulteriore
evoluzione; bisogna invece intuire la
presenza del Sé divino esistente
al suo interno come in tutte le altre
forme, non limitandosi ad una visione
superficiale.
45. La devozione per Ishvara dà
il frutto della meditazione (il Samadhi).
La meta della meditazione
è il Samadhi, grazie a cui la
coscienza passa dal cervello all’anima;
in tale stato, si stabilisce il contatto
col Sé divino, con tutti gli
altri Sé e col Sé universale.
Il processo è graduale; dapprima,
la coscienza estroversa si ritira nella
testa; da lì passa nella mente
ed il cervello rimane vigile, senza
alcuna forma di “trance”;
poi passa nell’anima dove può
contemplare la realtà delle cose.
L’Io spirituale trasmette infine
il contenuto della visione al cervello,
tramite la mente, così che l’individuo
possa beneficiare di tale esperienza.
TERZO MEZZO. LA POSIZIONE
46. La posizione assunta
deve essere comoda e stabile.
La stabilità
cui si allude non riguarda tanto il
fisico, quanto le emozioni e la mente;
sono queste da tenere sotto controllo.
Soprattutto per un occidentale non è
necessario assumere posizioni innaturali.
È sufficiente sedere su una sedia
comoda con la schiena eretta, le mani
incrociate in grembo, gli occhi chiusi,
il mento un po’ abbassato ed i
piedi incrociati in modo naturale.
Oggi quindi, a differenza di epoche
passate in cui era necessario controllare
il fisico e l’emotività,
bisogna disciplinare la mente ed instaurare
un contatto con l’anima.
47. Fissità e comodità
di posizione si ottengono con sforzo
lieve ma costante e concentrando la
mente sull’infinito.
Il corpo non viene
dimenticato, se lo si costringe in una
posizione insolita, ma assumendo una
postura comoda e concentrando la mente
sull’anima.
48. Ciò fatto, le coppie di opposti
non intralciano più.
Gli opposti riguardano
le emozioni, influenzate da allettamenti
illusori. Bisogna far sì, invece,
che l’astrale sia controllato
dalla mente. Solo così si ottiene
l’equilibrio fisico e la giusta
concentrazione.
QUARTO MEZZO. PRANAYAMA
49. Ottenuta la giusta
posizione (Asana), si esercita debito
dominio sul prana e si inspira ed espira
correttamente.
In genere, s’identifica
il prana col respiro; in realtà,
il prana è l’energia che
risiede in ogni corpo, rivelata dal
moto dei polmoni dovuto al prana immesso
col respiro.
Il controllo del respiro permette di
far affluire energia nel corpo eterico
e di espellerla dal fisico, creando
quella circolazione che necessita al
mantenimento della vita e della salute.
È l’eterico, quindi, che
vivifica il fisico per mezzo dell’apparato
respiratorio che ossigena il sangue.
Il respiro, quindi, deve assumere un
ritmo costante e regolare.
Tuttavia, prima di controllare il respiro,
bisogna imparare a purificare e disciplinare
la nostra natura inferiore, oltre a
concentrare la mente.
50. Il retto controllo del prana (corrente
vitale) è esterno, interno o
immoto, è soggetto allo spazio,
al tempo e al numero e può essere
breve o prolungato.
Il dominio esterno
del prana riguarda gli esercizi di respirazione;
il dominio interno si consegue invece
conoscendo la natura del corpo eterico,
studiandone i centri e le corrispondenze
con energie che possono purificare ed
illuminare tutto l’essere.
Il dominio immoto delle correnti vitali
rivela il raggiunto equilibrio tra il
corpo denso e l’eterico; il che
permette il corretto scorrere delle
energie.
I termini “spazio, tempo e numero”
hanno attinenza con l’astrologia
che permette d’individuare i periodi
più favorevoli per accelerare
l’evoluzione individuale.
51. Un quarto stadio trascende quelli
relativi alle fasi esterne ed interne.
All’inizio,
occorre preparare i corpi inferiori
(fisico, emotivo e mentale) a ricevere
l’influenza dell’ego che
deve governare l’intero organismo.
Questo è un semplice involucro,
il santo Graal, il calice che contiene
in sé la vita divina. Quando
è l’energia dell’anima
a governare l’individuo, per lui
inizia uno stadio nuovo, non più
ricettivo, ma attivo.
52. Per suo mezzo, si elimina per gradi
ciò che vela la luce.
Un primo effetto di
tale trasformazione è costituito
dall’affinamento delle forme materiali
che offuscano la luce interiore. Essa
sarà percepita nella testa e
si manifesterà agli occhi del
veggente come un’aureola.
53. La mente è pronta per meditare
concentrata.
Il succitato quarto
stadio, quindi, coincide con la quiete
interiore; a questo punto, si passa
ad usare gli altri mezzi yoga: l’astrazione,
l’attenzione, la meditazione e
la contemplazione.
La mente ormai dominata permette all’ego
o anima di trasmettere al cervello conoscenza,
luce e saggezza.
QUINTO MEZZO. ASTRAZIONE
54. L’astrazione
(Prathyahara) è la sommissione
dei sensi operata dal principio pensante
che li ritrae dai loro oggetti consueti.
La coscienza, in genere
proiettata all’esterno, è
concentrata nella testa a contatto con
l’anima.
I cinque sensi sono dominati dal sesto,
la mente, e tutta la natura psichica
è sotto controllo.
55. Con questi mezzi si soggiogano completamente
gli organi dei sensi.
Ricapitolando: il
primo libro degli aforismi espone lo
scopo del Raja Yoga, gli ostacoli e
i benefici che ne derivano; il secondo
spiega cinque degli otto mezzi yoga
che permettono di dominare lo psichismo;
il terzo libro insegnerà invece
il dominio mentale, attraverso l’esposizione
degli ultimi tre mezzi yoga.
Il tutto viene trattato in modo graduale,
preciso, scientifico ed estremamente
conciso, per fornire all’attuale
razza umana i mezzi necessari per compiere
un altro passo sul sentiero dell’evoluzione.
FINE DEL SECONDO LIBRO
LIBRO III°
L’UNIONE
RAGGIUNTA E I SUOI EFFETTI
1. Concentrazione (dharana)
è fissare chitta (sostanza mentale)
su un oggetto particolare.
I primi quindici “sutra”
riguardano i mezzi con cui conseguire
il controllo della mente; gli altri
quaranta spiegano gli effetti che ne
derivano.
Si inizia praticando la concentrazione,
cioè la capacità di mantenere
la mente fissa su un oggetto, evitando
di spostarla all’esterno e mantenendola
nella testa tra i sopraccigli. Si può
visualizzare l’oggetto e percepire
l’idea che l’ha prodotto.
Si passa così dalla forma visibile
alla vita sottostante.
Non è detto che l’oggetto
debba essere necessariamente esterno;
ci si può concentrare infatti
anche sui centri del corpo eterico,
oppure su una qualità con l’intento
di acquisirla, su un concetto, su un
simbolo, su una parola. In tal modo,
si sposta la coscienza dal livello fisico
a quello eterico e poi a quello emotivo
e mentale.
2. La concentrazione prolungata è
meditazione (dhyana).
Si arriva alla meditazione,
quando si riesce a fissare la mente
a volontà su qualsiasi oggetto,
in modo che la mente sia consapevole
solo di sé e dell’oggetto,
escludendo il fisico, le emozioni e
l’ambiente circostante.
3. Quando chitta è assorbita
nella realtà (cioè l’idea
chiusa nella forma) ed è inconscia
di separazione, o del sé personale,
si ha contemplazione o samadhi.
Nella contemplazione
lo yogi trascende la coscienza cerebrale,
cioè la percezione dello spazio-tempo,
nonché le reazioni emotive e
quelle mentali. Egli s’identifica
con “l’anima” della
forma scelta come oggetto di meditazione
e non avverte più il senso di
separazione.
È così che si sperimenta
l’unità con tutte le anime,
siano esse umane, subumane e superumane,
arrivando all’illuminazione che
consiste nel sentirsi come un centro
di luce unito a quello nascosto in ogni
forma visibile. Questa è la vera
comunione.
4. Quando concentrazione, meditazione
e contemplazione formano un solo atto
sequenziale, si ha il samyama.
Il termine sanscrito
indica la sintesi delle tre fasi di
cui si compone la meditazione; questa
è la meta a cui tende il Raja
Yoga.
5. Per effetto del samyama la luce risplende.
Lo yogi in meditazione
può dirigere la luce che emana
e illuminare ogni soggetto. Pertanto,
nulla resta celato alla sua vista. La
luce nella testa aumenta d’intensità
ed il terzo occhio si apre. La conoscenza
acquisita con l’autoilluminazione
deve essere condivisa con altri ed impartita
chiaramente.
6. L’illuminazione è graduale;
si sviluppa per stadi successivi.
Nulla di valido si
produce senza uno sforzo lungo e costante.
Si ricordi che forzare lo sviluppo comporta
rischi non indifferenti.
7. Questi ultimi tre mezzi di Yoga hanno
esito interiore più profondo
dei precedenti.
Gli otto mezzi suddetti
servono per preparare quello stato di
coscienza che trascende il pensiero
e che viene indicato con i termini di
unione, realizzazione, identificazione
o nirvana.
È inutile però che il
neofita tenti di comprendere, prima
di averne fatto esperienza diretta.
8. Tuttavia anche questi
sono esteriori nei confronti della meditazione
senza seme (samadhi) che non si basa
su alcun oggetto. Essa non risente gli
effetti della natura discriminativa
di chitta.
Quando si arriva a
percepire l’unità con il
Tutto, si comprende il limite della
visione dualistica. Resta solo la coscienza
del Sé, il Conoscitore onnisciente
ed onnipotente.
9. Gli stadi mentali si susseguono così:
la mente reagisce a ciò che si
vede; segue il momento del controllo
mentale. Quindi essa reagisce ad entrambi
questi atti. Infine essi scompaiono
e la coscienza percipiente ha il campo
libero.
L’identità
col Percipiente è realizzata
quando la mente è sotto controllo
e l’oggetto veduto non suscita
reazione. È allora che l’Io
divino può trasmettere al cervello,
tramite la mente, la sua visione che
coincide con la Realtà.
All’inizio, questo stato di coscienza
dura un attimo, perché la mente
torna a modificarsi; tuttavia, da ora
in poi, ci si può riferire ad
un’esperienza concreta, non ad
una teoria o ad una fede cieca.
10. Coltivando questa abitudine mentale
la percezione spirituale diviene stabile.
Il successo si ottiene
con la ripetizione continua, che rende
il processo meno frammentario.
11. Il consolidarsi di tale abitudine
e il frenare la tendenza della mente
a formare pensieri conferiscono, col
tempo, il potere costante di contemplare.
La pratica della meditazione è
finalizzata ad ottenere uno stato di
contemplazione continua, non limitato
nel tempo. È ovvio che, a questo
punto, la meditazione stessa diviene
superflua.
12. Quando il controllo
mentale e chi lo esercita sono equilibrati,
l’attenzione si concentra in un
solo punto.
Anche se l’attenzione
è focalizzata solo su un oggetto
e sulla sua realtà interiore
celata dalla forma, si è ancora
vittime dell’illusione data dal
senso di separatività. Pertanto,
occorre innalzarsi ad uno stato di coscienza
più elevato, dove si percepisce
l’unità con la Vita celata
in tutte le forme.
13. Con questo procedimento si conoscono
gli aspetti di ogni oggetto; le loro
caratteristiche (forma), la natura simbolica
e l’uso specifico nel tempo (stadio
di sviluppo) sono capiti e realizzati.
La vera concentrazione
permette di conoscere e sintetizzare
i tre aspetti di una forma, cioè
la sua natura esteriore, il fatto che
essa rappresenti il simbolo di un’idea
che l’ha prodotta ed infine lo
stadio di evoluzione presente.
Questa consapevolezza fa sì che
si colga nella sua interezza il processo
di sviluppo, ponendosi dal punto di
vista dell’Eterno Presente. Questa
è perfetta comprensione; altrimenti,
si ha una visione parziale e distorta
della realtà delle cose.
14. I caratteri manifesti o latenti
di ogni oggetto sono compresi.
Nel tempo e nello
spazio tutte le caratteristiche hanno
valore relativo, sebbene l’origine
e la meta di ogni cosa siano gli stessi.
Ciò dipende dal fatto che le
vibrazioni delle sette energie principali
che emanano dalla Vita Una, i cosiddetti
Sette Raggi, hanno caratteri propri,
dando così l’avvio a percorsi
evolutivi differenti.
Lo Yogi, però, riesce a cogliere
il senso complessivo del ciclo evolutivo
nella sua interezza ed in tal modo può
cooperare alla compiuta realizzazione
del grande Piano divino.
15. Dallo stadio di sviluppo dipendono
le diverse modificazioni della versatile
natura psichica e del principio pensante.
Sapere quale sia lo
stadio raggiunto e quali siano i passi
ancora da compiere è essenziale,
se si vuol progredire in modo rapido
e corretto.
16. La meditazione concentrata sulla
triplice natura di ogni forma rivela
ciò che è stato e ciò
che sarà.
Si è visto
che ogni forma esprime una triplice
natura, cioè quella esteriore
che è la più evidente,
quella di simbolo di un pensiero che
l’ha prodotta ed infine il suo
attuale livello evolutivo.
La vera meditazione svela lo stadio
raggiunto ed il karma di ogni cosa;
pertanto, occorre impegnarsi a non porre
più cause che possano produrre
effetti tali da impedire la liberazione
finale.
17. Il Suono (o Parola), ciò
che esso indica (l’oggetto) e
l’essenza spirituale (o idea)
che racchiude, sono di solito confusi
nella mente di chi percepisce. Con la
meditazione concentrata su questi tre
aspetti si ottiene la comprensione (intuitiva)
del suono emesso da ogni forma di vita.
In genere, non si
comprende che ogni manifestazione oggettiva
è preceduta dal Respiro divino
che si è tramutato in Suono,
dando origine all’universo.
Nella mente umana, questi tre aspetti
sono confusi e si considera reale solo
ciò che appare: lo yogi, invece,
deve risalire alle cause che hanno prodotto
l’intera manifestazione.
La vera meditazione svela il secondo
aspetto divino o anima ed allora si
ode il Suono o la Parola, l’AUM.
Si saprà così di essere
la Parola fatta carne.
18. Si conoscono le incarnazioni precedenti
quando si è acquisita la facoltà
di vedere le immagini mentali.
Chi controlla la mente
può vedere le immagini mentali
che si distinguono dalle impressioni
lasciate nell’akasha, percepite
dai veggenti comuni; essi non riescono
a discriminare tra la mole sterminata
di desideri ed esperienze terrestri
accumulate in quell’immenso archivio.
Solo un occultista provetto sa distinguere
la realtà dalle figurazioni astrali
originate dall’immaginazione e
da un forte desiderio.
19. Con la meditazione concentrata divengono
visibili i pensieri nelle menti altrui.
Lo yogi arriva a percepire
ciò che determina la manifestazione,
cioè i pensieri. Il potere di
leggere nelle menti altrui è
pericoloso e viene concesso solo a discepoli
avanzati, qualora sia necessario comprendere
le cause di certi eventi, così
da poter cooperare con il progetto evolutivo.
Ciò si ottiene usando la volontà
ed alcune forze che permettono di vedere
nell’aura altrui.
20. Però l’oggetto di quei
pensieri non appare a chi percepisce,
che vede solo il pensiero e non l’oggetto.
La sua meditazione esclude il tangibile.
Il discepolo è
conscio della sostanza-pensiero propria
ed altrui che muove forze capaci di
produrre forme corrispondenti all’idea
originaria. Queste forme permangono
fintanto che vi si fissa la mente. Ciò
vale per il Logos che pensa un sistema
planetario, come per l’individuo
comune, perché il macrocosmo
ed il microcosmo sono correlati dal
principio di analogia.
La meditazione concentrata, quindi,
permette di cogliere l’energia
mentale; tuttavia, la forma che ne deriva
non interessa il veggente, perché
costui, conoscendo la causa, ne prevede
l’inevitabile effetto.
21. Con la meditazione concentrata sulla
distinzione tra forma e corpo, le proprietà
che lo rendono visibile all’occhio
umano sono annullate (o ritirate), e
lo Yogi può rendersi invisibile.
Con il termine “forma”
si allude al corpo eterico, e con “corpo”
al fisico. Il corpo vitale o eterico,
grazie alla sua capacità attrattiva,
mantiene coeso il fisico e lo manifesta.
Per lo Yogi, la vera forma è
il corpo vitale. Concentrandosi nel
vero Io, può fissare la coscienza
nel mentale ed impedire la visibilità
della componente fisica, ritraendo l’eterico
dal fisico.
In altri termini, si può dire
che la caratteristica dello spirito
o energia sia quella di dar vita a tutte
le cose, mentre quella dell’anima
sia la luce che le rende visibili; esiste
poi l’eterico che sottostà
alla forma.
Ora, se l’anima si ritrae dalla
materia, questa diviene invisibile,
pur non dissolvendosi. Quindi, concentrando
la coscienza nell’anima, si riesce
a ritrarre l’eterico dal fisico
che scompare.
22. Il karma (o effetto) è di
due specie: immediato e futuro. Con
la meditazione perfettamente concentrata
su essi, lo yogi conosce il termine
delle sue esperienze nei tre mondi.
Lo apprende anche da segni.
Vigilando sul movente
di ogni azione, ci si libera dalla ruota
della rinascita. I segni o presagi riguardano
la sfera mentale, sede del vero Io.
Lo yogi, cosciente della purezza della
sua aura, sa di non dover reincarnarsi.
Tuttavia, può scegliere di tornare
nel mondo come “bodhisattva”,
mosso da compassione, per aiutare i
fratelli ancora vittime dell’illusione.
23. L’unione con altri si ottiene
con la meditazione concentrata su tre
sentimenti: compassione, tenerezza e
imparzialità.
La compassione è
l’antitesi della passione, avida
ed egoista; la tenerezza si oppone all’individualismo
e l’imparzialità al desiderio.
Coltivando questi sentimenti, si entra
in rapporto con l’anima altrui.
Infatti, se la bramosia lega agli aspetti
meno nobili della persona, che vive
ancora nell’illusione della dualità,
l’unione e l’identificazione
permettono di liberarsene, soprattutto
quando ci si collega al piano mentale.
24. La meditazione concentrata sul potere
dell’elefante ne risveglia la
forza o la luce.
L’elefante simboleggia
il centro alla base della spina dorsale,
dove si accumula l’energia di
kundalini, che può essere trasmutata,
sublimata ed elevata al cielo.
Questo processo unifica corpo ed anima
e costituisce la meta del Raja Yoga.
25. La meditazione, perfettamente concentrata
sulla luce interiore accesa, fa coscienti
di ciò che è sottile,
celato o remoto.
La luce è prodotta da una radiazione
nella testa, presso la ghiandola pineale,
ed è dovuta all’azione
dell’anima. Fissando l’attenzione
a questa luce, si entra in contatto
con i mondi sottili ignorati dalla maggior
parte dell’umanità e si
può conoscere il passato ed il
futuro, perché ci si libera dai
limiti spazio-temporali, frutto dell’illusione.
26. La meditazione appuntata sul sole
dà coscienza (o conoscenza) dei
sette mondi.
Qui si vuol dire che meditare sulla
causa del sistema solare favorisce la
comprensione dei sette stati dell’essere,
cioè dei sette piani di coscienza
cui corrispondono altrettante specie
di viventi.
Si va dal piano terrestre a quello astrale,
ambedue popolati da esseri dominati
dai loro desideri e legati alla ruota
della rinascita; si passa al mondo mentale,
in cui vivono ego più evoluti,
capaci di creare i propri veicoli di
manifestazione e di esprimere l’Amore,
per arrivare alla sfera dei Maestri,
anime liberate e contemplanti; infine,
esistono i tre mondi superiori, in cui
grandi Esseri riflettono i tre livelli
della Trinità; le loro vite si
protraggono per tutto il tempo della
manifestazione, sono onniscienti, privi
di corpi densi, contemplanti.
Il sistema solare è solo un atomo
nel cosmo; tuttavia, meditando sulla
sua anima macrocosmica, analoga a quella
microcosmica umana, ci si immette nella
porta che si apre sul settuplice sentiero
cosmico.
27. La conoscenza di tutte le forme
lunari si acquista con la meditazione
appuntata sulla luna.
Ciò permette
di conoscere il mondo fisico, astrale
e mentale, perché è dalla
luna che derivano le forme di questo
ciclo, la cui natura e fine possono
essere svelate.
La luna è simbolo della materia,
come il sole lo è dell’anima.
28. La concentrazione sulla stella polare
fa conoscere le orbite dei pianeti e
delle stelle.
Questo “sutra”
costituisce la base di ogni ricerca
astrologica; esso rivela come il nostro
sistema solare sia collegato ad altri
centri nell’universo, di cui subiamo
gli influssi.
Concentrarsi sulla stella polare, quindi,
consente di intuire il ruolo della Terra
nel cosmo.
29. L’attenzione concentrata sul
centro del plesso solare dà perfetta
conoscenza delle condizioni del corpo.
Questo centro si colloca
in posizione mediana rispetto agli altri
ed esprime la natura emotiva, che stimola
le funzioni inferiori del corpo, ma
è anche in grado di tramutare
i desideri inferiori in superiori. Esso
è il più attivo nella
maggioranza delle persone, mentre la
coscienza del discepolo è accentrata
nel cuore e quella del Maestro nella
testa.
Meditando sul plesso solare, si comprende
di essere un prodotto del desiderio,
legato alla ruota delle rinascite.
30. Fissando l’attenzione sul
centro della gola, fame e sete cessano.
31. Fissando l’attenzione sul
canale o nervo sotto il centro della
gola si ottiene l’equilibrio.
Fame e sete sono simboli
di impulsi inferiori che vanno sublimati.
Conseguendo l’equilibrio, si resta
immobili tra gli opposti.
32. Focalizzando la
luce nella testa è possibile
vedere coloro che hanno raggiunto l’autodominio
e venirne in contatto. Questo potere
si sviluppa con la meditazione concentrata.
Dirigendo la luce nella testa verso
l’alto, si può entrare
in contatto cosciente con i Maestri.
Essi si manifestano solo quando si è
compiuto correttamente il sentiero interiore.
33. Nella vivida luce dell’intuizione
si conoscono tutte le cose.
La luce dell’intuizione precede
quella dell’illuminazione completa.
Dapprima, si colgono solo dei lampi
nella sfera mentale; essi diventano
più frequenti, finché
la luce risplende senza interruzioni.
Riconosciuti i limiti della mente razionale,
si può cominciare a porre domande
all’intuizione che rivela sempre
la verità. È questa la
via per cui i geni sono giunti alle
loro scoperte nei vari rami della scienza.
34. La comprensione della coscienza
mentale nasce dalla meditazione appuntata
sul centro del cuore.
Concentrandosi sui
centri della testa, si potenzia la volontà;
meditando su quello del cuore, si attiva
l’amore-saggezza. Ogni essere
umano perverrà a tanto ed userà
queste qualità spirituali per
attuare il Piano divino sulla Terra.
35. L’esperienza (degli opposti)
deriva dall’incapacità
dell’anima di distinguere tra
sé personale e purusha (o spirito).
Le forme oggettive esistono per uso
(ed esperienza) dell’uomo spirituale.
Meditando su ciò si intuisce
la natura spirituale (purusha).
Finché ci s’identifica
con la forma, non si può divenire
consapevoli della propria vera natura.
È l’anima, detta anche
il sé, uomo spirituale cosciente
o Cristo interiore, a fare l’esperienza
del mondo e ad esprimersi mediante una
forma.
Questo è il vero significato
delle incarnazioni divine, del Verbo
fatto carne, sia a livello macrocosmico
che microcosmico.
36. Risultato di tale esperienza e meditazione
è lo sviluppo dei sensi superiori,
il che produce la conoscenza intuitiva.
Meditare rende coscienti
dell’esistenza dei mondi sottili,
sviluppa i sensi sottili (chiarudienza,
chiaroveggenza, psicometria ecc.) e
permette di cooperare col grande piano
evolutivo che coinvolge il cosmo intero.
37. Questi poteri sono ostacoli alla
suprema realizzazione spirituale, ma
agiscono come poteri magici nei mondi
oggettivi.
Anche questi poteri che appaiono meravigliosi
agli occhi del profano devono essere
trascesi, se ci si vuole liberare dai
tre mondi (fisico, astrale e mentale).
Si possono usare per servire l’umanità
e la Gerarchia, ma sono ancora pertinenti
al mondo della forma.
38. Liberarsi dalle cause di servitù,
ormai indebolite, e sapendo come trasferirsi
(ritirarsi), la sostanza mentale (chitta)
può entrare in un altro corpo.
Un pensiero dell’Io
divino, attraverso la mente, può
influenzare il corpo emotivo, quello
eterico ed il fisico. Ecco perché
un Adepto può risuscitare un
morto o servirsi del corpo di un discepolo
per operare nel mondo. Così fece
il Cristo, servendosi del corpo di Gesù.
Questo può avvenire solo se i
vincoli karmici e la dipendenza dal
sé personale sono già
attenuati.
39. Soggiogando la corrente vitale ascendente
(udana) ci si libera dall’acqua,
dal sentiero spinoso e dal fango, e
si ha il potere di elevarsi.
Concentrandosi nella
testa, si domina l’intero corpo
e le energie praniche che lo vitalizzano,
di cui “udana” è
un aspetto. I termini usati vanno intesi
in senso simbolico.
Pertanto, la libertà dalle acque
allude al potere di dominare la natura
emotiva, mentre uscire dal sentiero
spinoso vuol dire che l’incarnazione
che provoca tante sofferenze non è
più necessaria; infine, il fango
si riferisce ai vincoli prodotti dai
desideri e dalla mente inferiore.
40. Soggiogando il samana la scintilla
diviene la fiamma.
L’energia vitale
che sgorga dal cuore è detta
“samana”; quando l’anima
assume il controllo del corpo, tutta
la persona emana luce che il chiaroveggente
vede come un alone di colori brillanti
emanati dai centri vibranti di forza
elettrica.
41. Con la meditazione concentrata sul
rapporto tra Akasha e suono si sviluppa
l’udito spirituale.
Il Suono o Verbo diede
origine al processo creativo ed Akasha
è la prima differenziazione della
sostanza primordiale. Chi pratica il
Raja Yoga acquisisce l’udito spirituale,
che gli permette di essere guidato da
grandi Esseri che gli inviano insegnamenti
sotto forma di pensieri o frasi.
42. Con la meditazione concentrata sul
rapporto fra corpo e Akasha si ha il
potere di salire oltre la materia (i
tre mondi) e di traslarsi nello spazio.
L’Akasha è
ovunque ed ha precise corrispondenze
nei sette centri eterici del corpo umano;
quando si è avanti nella pratica
dello Yoga, vengono comunicate delle
parole che permettono di spostarsi a
volontà, senza limiti di tempo
e spazio.
43. Consunto ciò che vela la
luce, sopraggiunge lo stato detto disincarnato
(o senza corpo), libero dalle modificazioni
del principio pensante. È l’illuminazione.
La luce interiore
è offuscata da una serie d’involucri
che occorre trasmutare e trascendere;
allora la personalità non s’identifica
più con le forme passeggere ed
è come disincarnata.
44. La meditazione concentrata sulle
cinque forme che ogni elemento assume
produce il dominio su tutti gli elementi.
Queste cinque forme sono: la natura
grossolana, la forma elementare, la
qualità, la penetrabilità
e lo scopo fondamentale.
Col termine “elementi”
si vogliono indicare le sostanze elementali
che compongono ogni forma densa. Cinque
sono i gradi della sostanza e presentano
qualità peculiari, corrispondenti
ad uno dei cinque sensi.
Utilizzando i corpi sottili (emotivo
o mentale), si può entrare in
contatto con un piano corrispondente,
se si conoscono le qualità e
la meta a cui tende. È allora
che, come mago bianco, si collabora
col Piano divino.
45. Mediante questo dominio si consegue
l’estrema piccolezza e altri siddhi
(poteri) e anche la perfezione del corpo
e la libertà da qualsiasi ostacolo.
Una volta dominata
la natura inferiore, si acquisiscono
dei poteri di natura psichica. Essi
sono otto: l’estrema piccolezza,
l’espansione della coscienza,
il controllo della gravità, la
levitazione, il conseguimento dello
scopo prefisso, la volontà irresistibile,
il potere creativo ed il comando sulle
forze della natura con l’uso del
suono.
L’Adepto può anche costruirsi
un corpo adatto alle sue necessità
e non essere mai ostacolato.
46. Simmetria di forma, bellezza di
colore, forza e compattezza diamantina
sono la perfezione del corpo.
Quando l’anima
si manifesta nella forma, questa subisce
una meravigliosa trasformazione. Il
corpo eterico modella un corpo perfetto,
quello delle emozioni presenta colori
limpidi e brillanti, quello mentale
si allinea con lo spirito, mentre la
compattezza adamantina indica la salda
coesione delle tre parti di cui si compone
un individuo.
47. Il dominio sui sensi si raggiunge
con la meditazione concentrata sulla
loro natura, sui loro attributi specifici,
sull’egoismo, sul loro potere
pervasivo e sulla loro utilità.
Analizzando i sensi,
si scoprono i loro cinque aspetti: la
natura che corrisponde ad impulsi interiori;
la corrispondenza macrocosmica; la capacità
d’individualizzazione che appare
solo a livello umano; l’infinita
facoltà di estensione e la finalità
che è quella di sintonizzarsi
con la natura divina.
48. Risultati di questa perfezione sono:
rapidità di azione, pari a quella
mentale; percezione indipendente dagli
organi; dominio sulla sostanza fondamentale.
Sviluppando l’intuizione,
si conosce a prescindere dalla mente
e dai sensi che verranno usati a fine
di servizio, per far del bene inviando
energie positive e di guarigione attraverso
gli occhi e le mani, mentre la sublimazione
dell’udito farà percepire
la voce dello spirito o la musica delle
sfere; infine, il dominio sulla sostanza
permetterà di creare, manipolando
la materia con la forza di volontà.
49. Chi discrimina
fra anima e spirito ha supremazia su
tutte le condizioni ed è onnisciente.
Se si congiunge la
propria anima con tutte le altre, si
ottiene l’onniscienza, perché
si attua l’unione col Tutto. Da
ciò deriva anche l’onnipotenza.
50. Con la propensione distaccata per
questa conquista e per i poteri dell’anima,
chi è libero dalle cause di schiavitù
realizza lo stato di unità isolata.
Con ciò s’intende
la separazione dagli aspetti formali
ed il conseguimento dell’Unità
spirituale. Pertanto, lo Yogi considera
con distacco anche i poteri psichici
acquisiti, pur usandoli per il bene
altrui.
51. Ogni allettamento da parte di qualsiasi
forma di esistenza, anche celeste, è
da respingere, perché è
ancora possibile riprendere contatto
col male.
È errato demonizzare
la materia, perché essa è
il riflesso del divino, ma bisogna essere
consapevoli che sopravalutare la sua
importanza costituisce una deviazione
dal sentiero spirituale.
52. Quando la concentrazione si appunta
sugli attimi e sul loro continuo succedersi,
la conoscenza intuitiva si sviluppa
mediante la facoltà di discriminare.
Il tempo è
solo una successione di stati di coscienza.
L’attimo è l’estrema
divisione del tempo, corrispondente
allo spostamento di un atomo da un punto
ad un altro.
Concentrandosi sulle unità temporali,
si coglie il senso dell’Eterno
Presente e si conosce il passato come
il futuro.
53. Da tale conoscenza intuitiva sorge
la capacità di distinguere (fra
tutti gli esseri) e di conoscere il
“genus”, la qualità
e la posizione nello spazio.
Ogni forma, pur derivando
dalla Vita Una, presenta una propria
caratteristica detta “genus”,
che riflette la sua provenienza da uno
dei sette Raggi o correnti di energia
divina che hanno prodotto la manifestazione
universale.
Il vero Yogi è in grado di conoscere
tutto ciò che riguarda le singole
vite presenti nel cosmo.
54. La conoscenza intuitiva, grande
Liberatrice, è onnipresente e
onnisciente, e include passato, presente
e futuro nell’Eterno Ora.
Spazio e tempo non
esistono; l’unica Realtà
è data dall’Unica Vita
da cui promanano tutte le forme. Se
ci s’identifica con esse, si soggiace
alla grande illusione; se invece si
è consapevoli di appartenere
all’Origine, si ottiene la facoltà
dell’onnipresenza e dell’onniscienza.
55. Quando le forme
oggettive e l’anima hanno uguale
purezza, unificazione e libertà
sono raggiunte.
Quando l’anima
ed i suoi strumenti hanno conseguito
l’unione perfetta, la rinascita
non è più necessaria.
FINE LIBRO TERZO
LIBRO IV°
ILLUMINAZIONE
1. I siddhi (o poteri)
inferiori e superiori si ottengono con
l’incarnazione, droghe, parole
di potere, desiderio intenso e meditazione.
Due sono le specie
di poteri che si possono acquisire:
quelli psichici inferiori e quelli spirituali
superiori. Si è visto che il
vero Yogi non considera importanti i
primi, anche se può usarli per
scopi benefici.
I poteri superiori comprendono la conoscenza
diretta, la percezione intuitiva, la
pura visione spirituale ed il conseguimento
della saggezza. Essi includono quelli
inferiori e, a differenza di questi,
sono infallibili ed attivabili all’istante.
Per acquisirli, è consentita
la pratica della meditazione e l’intenso
desiderio, mentre l’uso di droghe,
magia sessuale e parole di potere sono
metodi legati alla via della mano sinistra
o dei maghi neri, che del resto può
acquisire solo i poteri inferiori, perché
esaltano l’astrale, invece di
dominarlo.
Anche il mago bianco si serve di mantra
e di profumi nelle cerimonie iniziatiche,
ma non a fini egoistici, bensì
per invocare l’assistenza di Esseri
superiori, per controllare le forze
naturali, per purificare ambienti.
Comunque, tutti arriveranno a possedere
questi poteri, anche se sono necessarie
molte vite prima che lo strumento fisico
sia purificato al punto di manifestare
la natura cristica.
2. Il trasferirsi della coscienza da
un veicolo inferiore in uno superiore
fa parte del grande processo creativo
ed evolutivo.
Spostare la coscienza verso l’alto
provoca un afflusso di energia positiva,
così che la natura individuale
subisce un cambiamento radicale.
Una tale evoluzione si consegue lentamente
durante le incarnazioni, ma può
essere accelerata con la pratica del
Raja Yoga.
3. Le pratiche e i metodi non sono la
vera causa del trasferimento della coscienza,
ma rimuovono gli ostacoli, come l’agricoltore
prepara il terreno per la semina.
La vera causa del
cambiamento individuale è data
dal Cristo interiore o coscienza
dell’anima che dall’interno
orienta la natura inferiore verso l’alto.
4. La coscienza dell’“IO
SONO” crea gli organi mediante
i quali si ha il senso dell’individualità.
Finché la coscienza è
volta all’esterno, mossa da desideri,
ci si reincarna, assumendo strumenti
e organi che possano fare esperienza
del mondo e si soggiace all’illusione,
ma quando, delusa, si rivolge all’interno,
inizia il cammino di ritorno all’Origine.
5. La coscienza è
una sola, ma produce le varie forme
del molteplice.
Entro tutte le forme esiste un’unica
Vita che le anima e che crea i vari
corpi che le avvolgono. Ciò vale
per l’atomo, come per l’uomo,
il Logos planetario e quello solare.
6. Tra le forme assunte dalla coscienza,
soltanto quella risultato della meditazione
è senza karma latente.
Le forme sono prodotte
dal desiderio; la vera meditazione è
di tipo mentale, svincolata da esso.
Pertanto, arrivando a praticarla costantemente,
ci si libera dagli effetti karmici prodotti
da una coscienza estrovertita.
7. Le attività delle anime libere
sono svincolate dagli opposti. Le altre
sono di tre specie.
Qui si allude ai tre
tipi di karma a cui possono soggiacere
gli individui. Il primo è quello
rarissimo di chi non riesce a esaurirlo
neanche nell’arco di un’intera
manifestazione e che costringe a ripetere
daccapo le proprie esperienze; il secondo
è quello comune che viene corretto
dall’azione che l’anima
esercita sulla personalità; il
terzo è quello di chi si pone
in una condizione tale da non porre
più cause capaci di produrre
effetti negativi.
8. Da queste tre specie di karma derivano
le forme necessarie per la fruizione
degli effetti.
Un karma totalmente
negativo produrrà un essere grossolano
ed egoista, incline alla via della mano
sinistra; altrimenti, l’Io divino
creerà degli involucri sempre
adatti alla propria condizione ed alle
esperienze che si dovranno attraversare.
9. Vi è identità di rapporto
tra memoria e causa, anche se separate
da specie, tempo e luogo.
Nell’Ego perdurano
sempre le esperienze vissute in un’incarnazione,
per quanto lontana nel tempo o nello
spazio, così che ogni causa produca
i suoi effetti.
10. Poiché il desiderio di vivere
è eterno, non si conosce il principio
di queste forme create
dalla mente.
La brama di vita individuale
è un riflesso di un atteggiamento
a cui ancora soggiace lo stesso Logos;
pertanto, il lavoro da compiere in questa
manifestazione universale consiste nel
tentativo di isolarsi da influenze che
circolano nel cosmo fin dai primordi.
11. Queste forme sono
create e tenute assieme dal desiderio,
causa fondamentale; dalla personalità,
effetto; dalla vitalità mentale,
o volontà di vivere; sono sostegno
della vita volta all’esterno,
o oggetto. Quando ciò più
non attrae, le forme scompaiono.
Le forme sussistono
finché perdura la volontà
di vivere, alimentate dalla vitalità
mentale.
Quando però le esperienze sono
vissute ed i desideri vengono saziati,
le immagini mentali e gli effetti da
esse prodotte cessano. Pertanto, la
forma svanisce perché la sua
manifestazione non è più
necessaria e ci si libera dall’illusione.
12. Passato e presente esistono in realtà.
La forma assunta nel concetto temporale
del presente è risultato di caratteristiche
sviluppate in passato e porta i semi
di qualità future.
Il presente è
prodotto dal passato ed il futuro dipende
dalle cause che si pongono ora.
Non si può derogare da questa
legge. Tuttavia, il Raj Yoga fornisce
gli strumenti per evitare di porre i
“semi” capaci di comportare
nuove incarnazioni.
13. Le caratteristiche, latenti o attive,
partecipano delle tre guna (qualità
della materia).
Le caratteristiche
individuali sono il risultato di esperienze
passate ed esprimono la capacità
che la forma ha di adattarsi alla Vita
che le anima.
Si passa così da un atteggiamento
tamasico o inerte ad uno attivo o rajasico,
per arrivare a quello sattvico o della
perfetta armonia.
14. La forma oggettiva
è dovuta all’azione concentrata
della causa (unificazione delle modifiche
della sostanza mentale),
Nella fase involutiva, ci si appresta
a prendere forma e la mente è
tutta concentrata a questo scopo. Lo
stesso avviene nella fase evolutiva,
quando ci si libera dai propri limiti:
concentrazione ed unificazione.
15. Coscienza e forma sono distinte
e separate; sebbene le forme possano
somigliarsi, la
coscienza può agire a livelli
diversi dell’essere.
Esistono due linee
evolutive distinte: quella della materia
e quella dell’anima; sebbene quest’ultima
possa per lungo tempo identificarsi
con la forma, viene il momento del risveglio.
Il percorso evolutivo è sempre
individuale, per cui non esistono due
esseri che abbiano un identico sentire
nei confronti di esperienze vissute
in comune.
16. Le modificazioni della Mente Una
producono le varie forme, che traggono
esistenza dai molteplici impulsi mentali.
Ogni forma è
il risultato del pensiero divino. Il
Logos solare, Dio, è la somma
di tutti gli stati di coscienza. L’attività
mentale di ogni essere, a partire dall’atomo,
può produrre forme.
17. Le forme sono conosciute o no, secondo
le qualità latenti nella coscienza
che percepisce.
Le percezioni sono
commisurate al livello di coscienza
individuale; quando si svilupperanno
qualità latenti, sarà
possibile conoscere un mondo più
vasto.
18. Il Signore della mente, Colui che
percepisce, è sempre conscio
della sostanza mentale in attività
costante, causa dei vari effetti.
Il Raja Yoga consente
di stabilire un contatto permanente
col vero Io che controlla le continue
modificazioni della mente, orientandola
verso i pensieri provenienti dall’anima
e distogliendola dagli impulsi originati
dalla natura inferiore.
19. Poiché la mente può
essere vista e conosciuta, non è
la fonte dell’illuminazione.
La mente capta ciò
che proviene dall’alto o dal basso;
è un semplice intermediario,
un mezzo di conoscenza, ma non una fonte
di luce.
20. Né può conoscere due
oggetti contemporaneamente: se stessa
e l’esterno.
Nessun involucro dell’anima
è autocosciente; essi sono dei
mezzi utili a sperimentare.
Ciò vale anche per la mente,
il sesto senso, che comunica sia con
l’anima che con la personalità.
21. Se si postula che la mente (chitta)
sia conosciuta da un’altra mente,
più remota, si deduce un numero
illimitato di conoscitori, e l’insieme
delle reazioni mnemoniche tenderebbe
ad una confusione senza fine.
Per evitare d’incorrere
in questo equivoco, bisogna ammettere
l’esistenza di un Pensatore dietro
la mente. Questo Osservatore immortale
è l’anima o Ego.
22. Quando l’intelligenza spirituale,
a sé stante e indipendente dagli
oggetti, si riflette nella sostanza
mentale, sorge consapevolezza del Sé.
L’intelligenza
spirituale è il vero Io che può
essere conosciuto dalla mente durante
la meditazione.
23. Allora la sostanza mentale riflette
il Conoscitore e il conoscibile, ed
è onnisciente.
La mente calma e concentrata
può stabilire un contatto con
il Conoscitore; pertanto, nulla resta
celato allo yogi che comunica sia con
l’anima che col fisico.
24. Inoltre la mente, che riflette infinite
impressioni, è strumento del
Sé e agente unificante.
L’Io divino
si serve della mente per dominare la
natura inferiore, così da poter
servire la Gerarchia, contribuendo alla
realizzazione del Piano evolutivo.
25. Lo stato di Unità
Isolata (ritratto nella vera natura
del Sé) è la ricompensa
per chi sa discriminare fra sostanza
mentale e Sé o Uomo Spirituale.
La meditazione rende
coscienti della propria natura divina,
distogliendo la mente dagli influssi
esteriori. Viene meno anche il desiderio
di conoscere, perché si è
appagati dalla gioia che deriva dall’unione
col Sé.
26. Allora la mente tende a discriminare
e a rischiarare sempre meglio la vera
natura del Sé.
Per abitudine, però, la mente
riflette altre impressioni mentali e
percepisce oggetti sensoriali.
Questi riflessi sono ostacoli, e il
metodo per superarli è il medesimo.
Se non si è vigili, le antiche
abitudini mentali si riaffermano.
27. Chi si distacca anche dalla propria
aspirazione alla luce e all’Unità
Isolata, prende
coscienza della nuvola sovrastante di
conoscenza spirituale.
Bisogna riuscire a restare distaccati
anche dal proprio sviluppo spirituale.
In tal modo, si attua l’unione
tra corpo e anima. Non resta che compiere
l’ultimo passo: l’unione
dell’anima con lo spirito.
28. Ciò raggiunto, ostacoli e
karma sono superati.
L’anima, liberata
dai mondi inferiori (fisico, emotivo
e mentale), non è più
soggetta alla legge di causa ed effetto.
29. Quando, rimossi gli ostacoli e purificati
gli involucri, si dispone di ogni conoscenza,
nulla resta da compiere.
Gli ostacoli generati
dall’ignoranza sono rimossi, gli
involucri dell’anima sono purificati,
ogni conoscenza è accessibile.
Lo yogi, accentrato nella coscienza
del Conoscitore, sa di appartenere alla
Vita Una.
30. Le modificazioni della sostanza
mentale (o qualità della materia),
prodotte dalle tre guna, hanno fine,
poiché hanno servito allo scopo.
31. Anche il tempo, che è il
susseguirsi delle modificazioni mentali,
termina e cede all’Eterno Ora.
32. Quando le tre guna non hanno presa
sul Sé, si consegue l’Unità
Isolata. La pura coscienza spirituale
si ritrae nell’Uno.